la storia di come due fratelli vincono la paura n°4

Si parte: le motivazioni della scrittura

Eccomi di nuovo, qua. Sto continuando anche se siete in pochi a leggere e nessuno fa commenti. Nella puntata precedente mi sono accorto di frasi ripetitive, alcune sconclusionate. La foga di voler raccontare del romanzo è così forte che purtroppo mi imbatto in queste bestialità da dilettante 😦 . Se volete tornare a rileggerlo, diciamo che ora dovrebbe essere corretto, si spera 🙂 .

In questo articolo avrei dovuto parlare di altro, ma voglio un attimo far capire alcune cose.

La motivazione per questo romanzo qual è? Beh, l’ho spiegata in parte nello scorso articolo. Per i meno attenti: si tratta di creare una storia intorno al tema dell’indifferenza, forse usare questo pretesto per parlare di varie cose.

In genere quando si inizia a scrivere ci si deve porre una domanda: che cosa vuoi trasmettere con questo testo? A chi vuoi inviare questo messaggio? In teoria deve esistere un lettore ideale a cui si racconta una storia. Questa è una delle tante regole della scrittura creativa.

Vi dirò che forse il mio lettore ideale è una lettrice ideale, una madre, una donna, ma nel testo ci sono tutti gli spunti anche per ragazzi, per padri, nonni. Si parla di amicizia, musica, eppure io quando ho iniziato a scrivere non mi sono posto questa domanda. Volevo scrivere e basta e divertirmi mentre lo facevo. Elaboravo dei pensieri di alcune cose che avevo in mente e che poi capitano ai protagonisti. Se uno facesse la massima attenzione, nella prima parte c’è un capitolo in cui troverà il tema di tutto lo scritto, molte anticipazioni, incluso il climax e il modo in cui avverrà e, ultimo, ma non meno importante, un quesito su cui il protagonista combatterà fino a che non avrà la verità che scorrerà dalle labbra di suo fratello. Un dolore che diventerà amore. Non voglio rivelare troppo, ma lo stile, il mio stile personale, per chi conosce il modo in cui scrivo è travolgente.

L’unico “difetto”… l’ho messo tra virgolette, è il mio prolungarmi sulle scene, forse dovrei essere più essenziale, ma ho anche l’idea che il volere essere essenziale a tutti i costi produce solo danni.

Immaginiamo la storia. Un bambino, una scena che a 5 anni non capisce, ma che mette a fuoco 11 anni dopo. Le scene a cui assiste tra le mura domestiche. Il suo bisogno di allontanarsi da tutto ciò. Ci riesce, incontra un amico speciale che alla fine coprirà un ruolo determinante nella storia. Si innamorerà… Si lo so, l’ho detto mille volte. Andiamo avanti. Ci sono scene che ho scritto che mi lasciano soddisfatto, alcune che mi fanno ancora effetto. Lo stesso effetto di quando le ho pensate e scritte. Un effetto che chiamo Emozione. Se tagliassi, tagliassi e tagliassi, potrei ridurre la storia ai minimi termini, ma non funzionerebbe. Perché si legge un romanzo? Per ascoltare la storia o per sentire parlare e vibrare i personaggi, le emozioni? Le storie oggi sono state scritte tutte, non si inventa più nulla da zero. L’originalità consiste nel crearsi uno stile unico e non imitabile nel raccontare una storia. Facendo amare i personaggi al lettore, bisogna raccontare, ovviamente senza essere troppo minuziosi. La regola madre della narrativa è “dire senza dire”, ovvero mostrare. Ha molto più effetto.

Se eliminassi tante cose alla fine ci troveremmo uno scheletro tra le mani, l’essenza di una idea non delineata e dei personaggi che non ci trasmettono nulla. I personaggi vanno conosciuti, come le persone nella vita. Vi innamorereste di una ragazza qualsiasi di cui non sapete nulla? Eliminiamo da questa ipotesi il colpo di fulmine prodotto dal primo magisco sguardo. Al tiggì ci parlano di tragedie, persone che muoiono, ma piangiamo ogni volta che lo dicono? A volte anche davanti alla guerra restiamo feddi e indifferenti. Tanto non sta succedendo a noi, non siamo implicati… Quindi l’impatto cresce in una storia, quando i personaggi vanno conosciuti. E io non so se lo so fare o meno. Non posso giudicare me stesso. Sarebbe facile e sbagliato. Lo deve fare qualcuno per me. Per capire.

Non so se siete arrivati fin qua, se vi sto annoiando o incuriosendo, se avete voglia di leggerlo questo romanzo, se avete voglia di criticarlo o di lanciarmelo appresso assieme alla mia presunzione, che tale non è. So benissimo che la scrittura è faticosa, che un lettore è esigente, le so queste cose, ma ho voglia di condividere queste “ansie da prestazione”. Altri scrittori non si cimentano a raccontare le difficoltà della loro scrittura, dell’idea da dove viene fuori. Non vi parla di queste cose. Vuole solo vendervi il libro oppure semplicemente trattare di altre cose. Fare solo recensioni. O altre cose.

Datemi una mano e lasciatelo un commento 🙂 . Non vi costa nulla.

Alla prossima puntata.

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2 pensieri su “la storia di come due fratelli vincono la paura n°4

  1. “I personaggi vanno conosciuti, come le persone nella vita”. Parlando da lettore, non trovo nulla di più vero. Ci sono dei romanzi, che potrei definire “freddi”, in cui ciò che (mi) colpisce non è la psicologia dei personaggi, ma le azioni che compiono, la loro dinamicità, i colpi di scena; e in quei casi è come stare seduti al cinema a vedere un film d’azione. E’ divertente, appassionante, ma non va oltre (in molti casi). Poi ci sono quei libri che davvero prendi a cuore perchè la storia diventa reale, la stai vivendo tu attraverso gli occhi del protagonista o del narratore. Comprendi i suoi stati d’animo, condividi le sue emozioni, le sue sensazioni, e il personaggio diventa quasi un amico, o forse addirittura una parte di te stesso. La differenza, per me, è che mentre i primi descrivono una storia, i secondi la raccontano, ci presentano i personaggi come persone vere, ce li fanno conoscere, e ce li fanno amare o odiare. Quindi l’essenziale va bene, ma fino a un certo punto. Le storie dei nostri compagni di lettura le vogliamo conoscere! Ok, forse mi sono dilungato troppo (e forse non c’entra nulla), ma leggendo il post mi è venuta in mente questa riflessione… attendo il prossimo articolo.

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