la storia di come due fratelli vincono la paura n°5

Eccoci con la quinta puntata del “making of…” del mio primo romanzo.

Due puntate fa si parlava di stile e punto di vista e si accennava anche al fatto che i lettori hanno un modus operandi di lettura che è difficile da scalfire. Un modus operandi per cui l’unico modo di tenere attenta l’attenzione del lettore è quello, probabilmente, di scrivere thriller e abbandonare la narrativa tradizionale.

Stamattina ho letto un articolo in cui si spiegava di come tutti sappiano scrivere male e di quante storie patetiche la narrativa tradizionale produca. Peccato poi, aggiungo io, che l’autore non abbia menzionato quali grandi storie abbia pubblicato lui. Non si fa che sentire in giro di come chi viene pubblicato non sappia scrivere, che scrivere non vuol dire creare una storia, ma interessare, essere rapidi, veloci, concisi, piegarsi a tutti i costi a lettori, editori… Eh beh, fosse facile capire cosa le persone vogliono leggere e capire chi pubblica cosa vuole pubblicare forse si potrebbe anche fare uno sforzo. Ciò che a me è poco chiaro è come si arrivi davvero a pubblicare, perché a sentire questi blog chiunque pubblica. Non mi risulta. Certo molte storie non sono tutto questo granché, è vero, eppure ce ne sono di belle storie.

Tutto questo preambolo per dire che io non ho la pretesa di insegnare a nessuno come si scrive e cosa vada scritto. La cosa che mi preoccupa è che la mia storia possa finire in un banale luogo comune e che venga raccontata in modo troppo lento.

Il problema, se tale è, dello stile e delle voci narranti, della struttura del mio romanzo, della trama stessa, dovrebbe portare a un’ulteriore modifica della struttura. Diciamo che forse è un po’ lento, ma, ripeto, non ho scritto un thriller, quindi la lentezza è comunque un elemento soggettivo. Forse dovrei eliminare la terza persona narrante della prima parte e convogliarla in una prima persona che ricorda il passato usando tanti flashback.

Non lo so, dopo tanti bravi blogger che ci insegnano come si scrive o come non si scrive e non ci danno i titoli di ciò che pubblicano o non ci dicono se hanno pubblicato o meno, un po’ la voglia di scrivere passa. Forse si deve tornare al punto di partenza. Perché avrei raccontato una storia familiare in cui piccole incomprensioni e silenzi spingono a riflettere? Io so perché l’ho scritta. Perché era dentro di me che prendeva forma giorno per giorno. Sentiva il bisogno di venire fuori e se ne fregava di essere bollata ed etichettata. Voleva solo raccontare di due fratelli che sono grandi amici e di tanto altro, come poi è stato.

Il romanzo reclamava la sua gestazione e il suo parto, come ogni volta che uno ha voglia di scrivere.

Interessante sarebbe capire anche come fare una volta che si è conclusa l’ennesima revisione, sempre che questa abbia luogo. Procedere senza seguire un criterio non è affatto utile, si può solo portare alla morte definitiva di una buona storia. Senza nulla pretendere, ovviamente.

I flashback per ricostruire la vita passata dei personaggi sono stati usati molto bene in Lost. È stato uno dei suoi tanti punti di forza, ma come renderlo altrettanto forte in un romanzo?

La terza parte del romanzo, rompe lo schema. Viola una regola di narrativa. Perché non ci si può calare nella testa di personaggi che si sono conosciuti nelle due parti precedenti senza che il lettore sia disturbato? In fondo sono persone che sono state presentate e di cui ci si appresta a svelare ancora di più, fino a quando il romanzo arriva a un punto che in realtà è l’origine della trama stessa. Il focolaio di partenza da cui ha avuto origine tutto.

A questo punto, se siete arrivati fin qua buona buona scrittura a tutti 😉 e buone letture.

Alla prossima.

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