
Spesso si dice che quando si deve prendere una decisione importante non bisogna avere fretta. Io, in genere, ci ragiono così tanto su una cosa che poi smetto anche di prenderla la decisione, ecco perché, per esempio, non mi sono mai trasferito a Londra e ne parlo, faccio un po’ troppi ragionamenti, forse inutili o dannosi. Certe cose o le fai o non le fai. O ci credi o non ci credi.
E in narrativa? Ah, be’, si dice ancora di più. Non bisogna avere fretta.
Ho conosciuto scrittori che ci hanno creduto così tanto che hanno avuto il loro manoscritto nel cassetto per 12 anni finché non hanno trovato l’editore che glielo ha pubblicato, poi non hanno pubblicato più nulla e magari non hanno scritto più nulla.
Poi c’è chi dichiara, a mo’ di barzelletta, di aver dedicato 20 giorni a un romanzo. E parlo sempre di scrittori che sono pubblicati da editori. 20 giorni? Eh, be’, come no? Una volta ci credevo davvero, oggi non più.
Ovviamente qual è il tempo giusto? Non sono 20 giorni, ma nemmeno 12 anni.
La mia esperienza è stata che con la mia prima pubblicazione (la raccolta di racconti “Deve accadere”) forse un po’ di fretta l’ho avuta, forse. Non ho saputo scegliere i racconti da includere nella raccolta e quelli da scartare? Ero completamente nuovo al mondo del selfpublishing, alle sue dinamiche. E, in ogni caso, ho fatto il massimo che era nelle mie potenzialità e alcuni racconti in quella raccolta mi hanno ispirato un romanzo in cui compare uno dei personaggi, alcuni racconti sono piccole perle che i più hanno amato, ma i più non amano i racconti.
Non c’è stata alcuna fretta con la mia seconda pubblicazione, anzi me la sono preso proprio comoda, visto che il romanzo è stato curato per 4 anni, anche se l’ho pubblicato non molto tempo dopo la raccolta di racconti. Ha riposato più che sufficientemente. È stato visto, rivisto, letto da una redazione di un concorso letterario, editato con un editor professionista. Ero completamente terrorizzato da mettere in circolazione un romanzo (il primo libro della serie “Le parole confondono”) senza averlo corretto per bene, soprattutto perché all’epoca mi pesava un po’ il fatto di trattare di certe tematiche un po’ “scabrose”. Un romanzo è una cosa lunga, ha una gestazione lunga. Ora ero convinto di pubblicarlo, ora no. A editing concluso ero un po’ più sereno.
Non sono per il pubblicare appena hai finito di scrivere. E, accidenti, ma come si potrebbe mai essere così folli? Tanti errori vengono fuori quando lo hai rivisto per la decima volta dopo che molti se lo sono letti. Pubblicarlo ancora fresco di vaga lettura è un suicidio letterario. È il modo più sicuro per bruciare una brillante carriera da romanziere. Brillante carriera da romanziere? Eh, sì, come no? Stendiamo un velo pietoso, ma non perché non ci creda, io ci credo, faccio le cose con criterio, perdo tempo a scegliere le immagini delle copertine, a realizzare le stesse da me, penso al titolo giusto e poi formatto l’ebook e il cartaceo davvero con impegno. L’ebook viene praticamente fatto a mano, di modo che posso controllare bene il codice XHTML e CSS che produco io e vedere se ciò che visualizzo su un ereader è corretto. Chi si è fatto realizzare ebook da me non è mai rimasto insoddisfatto.
Eppure c’è chi ha una fretta del diavolo. Abbozza una copertina qualsiasi, formattazione simil automatica di qualche strumento automatico che da un file di Microsoft Word produce una conversione (non certo un ebook) e ha fretta anche per quanto riguarda la trama, il testo. Ho letto di tutto e di più.
Nell’editoria tradizionale un titolo che non va muore in due mesi. Perché è quello (giorno più giorno meno) di permanenza in una libreria, sempre se arriva in libreria. Ci sono testi che ho letto di selfpublisher che ho trovato orrendi, testi di autori pubblicati con editore che altro che due mesi, io gli avrei dato 5 minuti. 6 sarebbero stati anche troppo.
Immaginiamo una catena di montaggio che produce libri pessimi. Ogni 5 minuti: avanti il prossimo, avanti il prossimo. Appare sullo scaffale nascosto e poi va via.
Quando la fretta ce l’hanno gli editori non è nulla per nessuno (testi di cui nessuno avrebbe mai sentito la mancanza se non fossero mai stati pubblicati, magari pure privi di un editing, di una correzione di bozze, perché l’editore è piccolo, non può pagare editor e correttori di bozze e nemmeno chi valuta un libro), se lo fa uno che si pubblica da solo, si deve nascondere dietro un bel portone di legno massiccio. Il libro inizia a non piacere perché non rispetta i classici canoni editoriali a cui sono abituati e allora la parola è: ha avuto fretta, il narcisismo ha avuto la meglio.
Io ho dei tempi molto variabili. Qualcuno crede che io scriva ogni giorno e sforni romanzi come pane e biscotti. Alcuni miei romanzi sono quasi finiti, ma poi sono stati interrotti dal sopraggiungere selvaggio di altre idee, altri sono chiusi e in attesa che io capisca se voglio metterli in commercio o meno. Ho di recente capito come si può scrivere meglio, come si possono evitare errori, ripetizioni di verbi di cui mi innamoro, ma in ogni caso io non ci metto fretta perché non puoi davvero pretendere di riuscire a controllare il processo di scrittura come si potrebbe fare per quello di preparazione di una torta di mele (la ricetta è sempre la stessa a meno di piccolissime varianti personali). Non è sufficiente creare fosse anche un capolavoro e pubblicarlo, il problema grosso in cui io sbatto è la post-pubblicazione, quindi alla fine non credo che si possa parlare di fretta nel mio caso.
La fretta c’è. Si vede in alcuni casi, in altri no.
La fretta c’è anche in chi non ci pensa cinque minuti ad aprire una NUOVA CASA EDITRICE. Cosa può offrire di diverso dalle centinaia e centinaia già esistenti? Non si sa. Poi dopo un anno, se sono fortunati, chiudono, se non lo sono bastano 3-4 mesi e si “accappottano”.
Qual è il tempo che un testo deve attendere? Quello giusto. Che non sia poco, ma che non sia nemmeno troppo. A scrivere e riscrivere un testo si finisce che non si smette più. Si evolve nella scrittura e quindi non ci si riconosce più nello stile e allora si corregge e si corregge e si va davvero al manicomio.
Il romanzo più veloce che ho scritto, corretto e pubblicato è stato “Joe è tra noi“: mi ha tenuto impegnato nove mesi. Da novembre 2014 a luglio 2015.
Non so chi valuta, ma spesso il fatto da soggettivo diventa oggettivo e trovare chi ha fretta in un mare magnum non è difficile, ma anche trovare chi fretta non ne ha e vedere che non raggiunge i risultati dovuti come storia, trama e personaggi. Bisogna spesso farsi certe domande, poi la risposta se arriva è bene, se non arriva, magari si attende e si pensa di nuovo finché non si accende una piccola luce.
Ecco, se c’è una cosa che non mi appartiene è la fretta. Forse, però, dovrei misurarmi con il suo opposto: la lentezza, che, talvolta, diventa eccessiva.
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Il problema è che se non si scrive con una certa costanza, non si finisce mai, ecco perché io ho quel famoso romanzo nel cassetto che da solo compirà un botto di anni, forse otto, non ricordo. Non è manco questione di fretta o lentezza, diciamo che per essere uno scrittore attivo bisognerebbe pubblicare due romanzi all’anno e fare tanta promozione. Concentrarsi quindi a scrivere 3-4 mesi per romanzo, inteso come inizio, fine, editing e pubblicazione, ma io sono un noto indisciplinato e poi non ho il tempo che serve. Come nessuno che scrive in Italia ce l’ha a parte 2-3 persone. La scrittura non è purtroppo la mia principale fonte di guadagno, anzi non ci guadagno proprio nulla. I report sono segnali di elettrocardiogrammi piatti. Se mi affidassi a questo sarebbero già anni che sarei sotto i ponti, come tutti, in effetti. Scrivere in inglese è complicatissimo e poi non si vive in un paese anglofono, quindi sarebbe anche difficile promuoversi.
Conclusione della favola. Si scrive, giusto per farlo e il tempo diventa completamente relativo.
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