Perché si… scrive, legge, si fanno cose

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Perché si scrive, perché si scrive, perché si scrive.
Mah, perché se ne ha voglia.

Perché si legge.
Mah, perché se ne ha voglia.

Perché si fa una torta al cioccolato.
Mah, perché se ne ha voglia.

Perché si corre nel parco.
Mah, perché se ne ha voglia.

Perché si fa qualcosa.
Mah, perché se ne ha voglia. O magari non se ne ha voglia e lo si fa lo stesso perché è il punto di partenza per creare una abitudine a cambiare, a fare altro.

Il chiedersi perché si scrive spinge poi, in modo classico e fatidico, a classificare lo scrittore in: scrittore vero o in scrittore falso. Ammesso che esista un criterio, e che nel 2021, quando gli store sono intasati di libri ed e-book da far paura, sia ancora applicabile o interessi ancora a qualcuno.

Porsi quella domanda e ricadere nel giochino di chi può scrivere e chi no, con tutte le conseguenze del caso, è davvero questione di un attimo.

Vero. Falso. Bravo. Cattivo. Brutto. Bello. Notte. Giorno. Giorno. Notte. Sonno. Risveglio. Sesso. Amore. Amore. Amplesso. Donna. Uomo. Alfa. Omega. Alfa.

La maestra all’asilo, o alla medie, diceva di fare la lista dei bravi e dei cattivi alla lavagna, durante la sua momentanea assenza.

Perché ci sono aziende che pagano qualcuno che su Instagram pubblicizza un loro bicchiere d’acqua a cinquanta euro?

Perché le persone riempiono il proprio profilo Instagram (ogni giorno e magari più volte al giorno) solo ed esclusivamente con foto del proprio viso senza fotografare nemmeno, non so, uno scorcio di una strada?

Come mai ci sono persone che fotografano solo piatti culinari come se gli altri non sapessero cucinare, e magari loro non sono nemmeno chef, non hanno un blog che si occupa di ricette o cibo?

Oppure ci possiamo chiedere come mai c’è chi apre un profilo dove mette in primo piano tutti i baci alla francese che ha dato nel tempo alla ragazza di turno. Ogni foto lo stesso lui e una lei diversa ogni due settimane o un mese.

Perché per il (finto) bene del paese ci si ritrova ogni benedetta volta, e non oltre i due anni dal precedente governo, con una crisi di governo che finisce sempre per riportare al governo persone che la maggioranza degli elettori aveva cacciato a calci smettendo di votarli? Gente che ha fatto malissimo, o gente che con un misero 2% ha fatto pesare il fatto che la legge elettorale è fatta malissimo e che per puro narcisismo si è imposto e ha fatto cadere un governo con un gran sorriso soddisfatto sulle labbra. Un paese manicomio, più o meno.

Ma a nessuno interessa nulla di tutto ciò. A me per primo, voglio chiarire. Si parla per dare fiato alla bocca e…

Ah, mi sono perso. Di cosa si parlava? Ah, ecco, sì. Si parlava di provare a inseguire le cose belle, quelle che sono semplici, che non cercano folle, approvazione, ma che sono interessanti, nuove per se stessi. Se qualcosa non piace, si passa avanti. Si evita. Punto. Se uno scrittore non suscita la nostra emozione, non ha scritto una storia che piace, si passa la prossimo libro, magari selezionandolo meglio.

Forza, proviamo a non disquisire sempre delle stesse cose, inseguiamo il bello, qualcosa di nuovo. Ma se proprio volessimo parlare di scrittura, autori ed editori e capirne, consiglio questo articolo di Rita Carla Francesca Monticelli di cui condivido ogni singola parola.

Alla fine, forse, si tratta di sic mundus creatus est.

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3 pensieri su “Perché si… scrive, legge, si fanno cose

  1. Mi piace quel “provare a inseguire le cose belle”. Mi piace proprio quel “provare”. Perché non tutti sanno fare tutto bene subito, ma questo non deve impedirci di tentare.

    Ieri sera ho visto un film con un bel messaggio (copia & incolla): “‘Good instincts are earned by making mistakes. If you’re lucky enough to survive a few mistakes, you’re going to be okay out here.”

    Questo perché non provare ti eviterà gli sbagli, ma sono proprio gli sbagli a insegnarti cose.

    P.S. Per coincidenza stamattina ho pubblicato un racconto e l’ho fatto fuori dagli store, per non intasarli con l’ennesimo ebook. 😉

    Piace a 1 persona

    1. Ho appena condiviso il tuo articolo su Twitter.
      Diciamo che nessun nasce “imparato”, ma di scrittura se ne parla sempre con la puzza sotto il naso, qualcuno subito pronto a denigrare in maniera generalizzata gli scrittori, mai che lo si faccia con medici che non sanno fare i medici (sai quanti ce ne stanno? wah, hai voglia!), con avvocati che si fanno solo pagare e non fanno nulla, con pittori che imbrattano la tela, con cuochi che rovino la credibilità della categoria, con attori che non sanno recitare, ma che stanno sempre in tv. Ogni volta il solito cliché. Il problema sono gli scrittori, capito? 😀 Quando maturi il pensiero capisci che alla fine è il modo in cui ti poni davanti a una cosa, non è la cosa in sé, come spiega Carla nel caso degli autoeditori nell’articolo di cui ho indicato il link. E poi, diciamocelo, tutto è sempre relativo anche quando agli occhi degli altri sembra eclatante, ma non per questo un deve parlare in modo costante delle stesse cose. Sto sforzandomi con tutto me stesso di evitare di scrivere un articolo se non ho nulla di davvero nuovo da dire.

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