13 anni di editoria e cambiamenti: parte prima

Foto di Brett Jordan:

Qualche giorno fa rileggevo degli articoli sul self-publishing, sulla mia prima pubblicazione, sulle recensioni che mi fecero attraverso i blog, le interviste, addirittura. Sono passati 13 anni ed è cambiato tutto e niente.

In realtà, dipende dai punti di vista.

Il fatto che l’editoria sia in crisi è vero, ma diciamo che è l’editoria stessa che, per uscire dalla crisi, ci si è buttata dentro a pesce. Alla fine molti editori sono diventati meri tipografi, si limitano a stampare, e lì si ferma la giostra. E non parlo di editori a pagamento sconosciuti ai più. Parlo anche di grandi editori. Hanno cercato di cavalcare i successi del momento, magari ci hanno pure fatto qualche soldo, ma non belle figure. Ho letto di autori e autrici ripubblicati sotto i loro marchi, salvati dalla “degradante via del self-publishing”, libri di cui non hanno curato l’editing nemmeno per sbaglio.

D’altra parte hanno cercato persone che già avevano pubblico e vendite. Perché perdere tempo a rieditare? Se hanno venduto tanto per molto tempo, perché non approfittare e basta? Se ne vanno tempo e denaro a voler curare meglio il testo, e poco cambia, in termini di vendite, quando conta solo il nome. Si mette una bella copertina nuova, un nuovo codice ISBN e poi si attende che l’autore si faccia promozione da solo, come ha sempre fatto sin da quando non aveva un editore. Il libro si vende, e via col prossimo personaggio da convertire all’editoria tradizionale per salvarlo dal self-publishing e, aggiungo io, per spennare il pollo e fare una barca di soldi gratis.

In effetti, questo è quanto, perché gli editori hanno smesso di fare cultura, si sono riconosciuti solo come azienda con costi sempre più elevati. Che è la storia di tutte le imprese italiane, dove si taglia, taglia, ma non per i manager. Ecco perché i fatti dicono che l’Italia è l’unica nazione europea dove i salari non solo non sono cresciuti affatto, ma sono addirittura diminuiti. E nell’editoria tradizionale la qualità è sempre più scadente, se si pensa che con il passare del tempo, invece, un editore dovrebbe migliorare. Dice che solo loro conoscono il mercato e sono gli unici che hanno il potere di scegliere per i lettori, i grandi editori sono quelli che hanno il diritto alla selezione dei testi e nessun altro.

Ma il fatto è che il libro è un prodotto difficile da piazzare e ogni libro ha una storia diversa. Ne può venire fuori un caso editoriale con milioni di copie vendute, oppure un fiasco colossale che porta a piazzare non più di 50 copie e a vedere sparire lo sfortunato libro in tre mesi.

Questo vuol dire che credo che il self-publishing sia migliorato? Non penso. Molti autori sono migliorati, ovvio, hanno capito l’importanza dello scrivere bene, del presentarsi nel modo giusto, ma non tutti e, comunque, non è cambiato il fatto che qualsiasi tipo di lavoro si faccia su un testo, il migliore in assoluto o il peggiore in assoluto, senza il sapersi vendere non si va da nessuna parte.

Se 13 anni fa gli autori italiani che avevano il coraggio di mettersi in gioco erano pochi, e quindi si facevano poca concorrenza gli uni con gli altri, oggi il settore è super inflazionato. C’è una tale concorrenza da non credere e, ovviamente, si va da una qualità ripugnante a tutti i livelli a, invece, dei testi e al loro modo di essere presentati che risulta eccellente.

Dove ti volti e ti giri qualcuno ha pubblicato un libro. Pubblicare un libro, alla fine, non vuol dire nulla. Chiunque può farlo, o farselo scrivere e metterci il nome. Bene, male, malissimo. Se non c’è modo di mettersi davvero in gioco e spogliarsi nudo, avendo un fisico mozzafiato, e andare in giro porta per porta a vendere il proprio romanzo, difficilmente si venderà una sola copia.

Ognuno cura il modo di approcciarsi alla scrittura, al lavoro che si fa su una storia, al modo in cui si cerca di orientarsi nella fase successiva alla pubblicazione. O non lo si fa affatto, come quell’autore che aveva appena finito di scrivere un testo e cercava quattro notine superficiali sul suo testo che avrebbe pubblicato, a prescindere da tutto, in due settimane. Non ho mai visto un record di qualità e applicazione così scadente, ma la persona in questione dice che vende tantissimo.

Ma vendere tantissimo non è sinonimo di storie che lasciano il segno, almeno non il tipo di segno che spererei di lasciare io, che sono molto perfezionista, anche se so bene che nulla è mai perfetto.

13 anni fa ero molto entusiasta e, per il mio percorso di evoluzione nella scrittura e per la forza delle mie tematiche, mi ritengo molto soddisfatto del risultato raggiunto, però se oggi iniziassi a pubblicare per la prima volta ci penserei molto di più. Come già detto: troppa concorrenza e grazie ai pessimi prodotti divulgati in questi anni, allo stress accumulato, alla continua vita precaria lavorativa, difficilmente si riesce a vendere qualcosa, e anche riuscire con una sola copia diventa difficilissimo. Sempre meno persone danno fiducia a un autore che non ha una grande casa editrice alle spalle.

La prima domanda che ti fanno quando sanno che hai scritto è: «Hai pubblicato per Mondadori?» Come se: A) fosse l’unica casa editrice in Italia; B) chiunque non pubblichi con un editore è uno sfigato da tenere a distanza.

Da questo punto di vista non è cambiato nulla. Senza editore non sei considerato e, essendoci tanto materiale in giro, anche volendo considerarti nessuno lo fa comunque. Bisogna visitare la pagina di un prodotto forse 30 volte per prendere in considerazione, seriamente, di acquistare l’e-book di quel dato autore, e magari lo si fa solo alla sessantunesima visita e solo se l’articolo è con lo sconto del 50% o più, se non arriva a costare più di 99 centesimi.

Alla fine, però, la soddisfazione non è solo il numero di copie vendute, non è il guadagno fatto, ma, almeno per me, è il piacere di avere scritto e rielaborato un testo che è diventato parte di me mese dopo mese, in primis. In secundis sono le belle e buone recensioni. Oramai sempre più persone non lasciano più recensioni. Arrivo a vedere solo il voto senza commento di storie molto belle non mie, di autori classici e non, davvero bravi, che si ritrovano orde di una e due stelle senza alcun giudizio.

Per il momento mi fermo qui, perché l’articolo ha ancora tantissimo su cui spaziare, visto che 13 anni sono tanti.

Avete mai letto un autore indipendente? Se sì, chi, che titolo? Come lo avete trovato? Vorreste un mio testo in omaggio?


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2 pensieri su “13 anni di editoria e cambiamenti: parte prima

  1. Avatar di @bluebabbler @bluebabbler

    Ho notato un graduale deterioramento del mondo del self publishing, sia in termini di qualità che di “ecosistema”. Quello che un tempo mi sembrava un ambiente frizzante e pieno di idee innovative (ma quante cose si potevano fare?) si è trasformato in una macchina che sforna titoli tutti uguali, dove la vendita è determinata principalmente dal numero di follower sui social di turno. Questo fenomeno, con modalità solo leggermente diverse, lo vediamo anche nell’editoria tradizionale.

    L’unico spazio in cui trovo ancora un po’ di freschezza e originalità è quello della narrativa interattiva e dei libri-gioco, che sembrano aver ripreso un minimo di slancio grazie a qualche autore. Comunque si tratta di una nicchia, e non credo che possa davvero cambiare il modo in cui consumiamo le storie scritte.

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