C’era una volta un blog

Foto di Free-Photos da Pixabay

C’era una volta, in una galassia lontana lontana, un blog. Il blog è uno spazio internet in cui si esprimono pensieri e idee.

In genere, oggi, l’unico elemento che conti per esporre dei concetti, per vendere un prodotto, per far leggere un proprio articolo, è la visibilità. Anche il blog che, da solo, almeno fino a cinque anni fa, viaggiava bene, senza il bisogno di condividere gli articoli ovunque, per sperare che quanto scritto fosse raggiungibile al mondo intero senza la necessità di promuoverlo, oggi fa fatica, in mezzo a una marea di pagine internet, a mantenersi a galla.

Nelle opzioni di gestione di WordPress è comparsa la voce “promuovi questo articolo”. È ovvio. Un host, ovvero, un computer su cui gira un programma che permette di rendere visibile un blog, ha dei costi (corrente elettrica, hardware, connessione a internet). Nulla è mai veramente gratuito. Mantenendosi nel gratuito, si è soggetti a vedere entrare nel proprio spazio pubblicità di cui non si è nemmeno responsabili, si viene a sapere, per pura casualità, che bisogna esporre le “privacy policy” di servizi di tracciamento che uno non sa nemmeno essere attivi nel proprio spazio, e non si possono disattivare.

E, al di là di questo, oggi, se non paghi la sponsorizzazione per un qualsiasi articolo appena scritto (e non) può succedere che lo vedano zero persone (e mi è capitato). Nonostante il numero elevato di iscritti al blog, ci sono diverse variabili che entrano in gioco: l’argomento, la frequenza con cui si pubblicano articoli, la moda, la popolarità che un blog ha, l’orario in cui si pubblica, il giorno in cui si pubblica, il mese in cui si pubblica, i lettori che già si hanno, la simpatia dell’autore, la sua bravura.

Ho notato che quando parlo, per esempio, di certi specifici argomenti, il pubblico sparisce del tutto.

So anche che oramai si dicono anche troppe cose, si pubblicano troppi libri e troppi articoli e, per ottenere visibilità, bisogna pagare in pubblicità su Facebook, su Twitter, su Amazon, su WordPress, su Google. Ci sono stati momenti in cui un articolo, visto e rivisto prima di pubblicarlo, è stato letto da una sola persona il giorno della pubblicazione, e da nessun altro nei giorni successivi, o anche da zero persone. È un sintomo. È una chiara manifestazione di come l’unica cosa che conti è costruire, in qualche modo, dei consumatori di contenuti ben precisi e investire in pubblicità, oppure inabissarsi e basta.

Ma, tipo, avrebbe senso investire in pubblicità per un articolo come quello pubblicato oggi? Forse, in prospettiva, diventerebbe obbligatorio, visto che il bilancio tra tempo dedicato al blog e interazione con un pubblico lettore di articoli risulta molto minimo.

Sono sempre dubbioso quando sento di voler scrivere un articolo. La prima domanda che mi faccio è: a qualcuno interesserà?


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5 pensieri su “C’era una volta un blog

  1. La visibilità a tutti i costi (e a pagamento) ha un problema di fondo, però: ottieni lettori “mordi e fuggi”. Probabilmente va anche bene se hai un blog di ricette, di moda, sugli animali o i classici “10 motivi per”. Se sei un venditore, ti può dare possibilità di guadagnare sui tuoi prodotti (fisici e digitali) anche se, pure lì, non è detto.
    Noi preferiamo agire in modo diverso: a parte che il nostro è un blog amatoriale in cui scriviamo storie per lo più di fantasia, ma noi preferiamo un bene che non è acquistabile. La stima dei lettori.
    E quella non la ottieni andando in giro a scrivere “quanto sono figo quanto sono bello” o “venite a vedere il mio blog quanto è interessante”; nelle poche visite che abbiamo, la maggioranza arriva dal reader di WordPress, non dai social!
    Poi se a uno piace come e cosa scriviamo, insomma, lo valuta da solo e noi siamo felici dei nostri pochi ma buoni follower; OK non tutti commentano, ma con alcuni abbiamo anche stretto un rapporto di conoscenza e confronto quasi quotidiano – “amicizia” è comunque una parola grossa e da maneggiare con cura.
    Sarebbe facilissimo mettersi a scrivere post per indignare o commuovere, o la classica bella storia alla… Come si chiama? Carmelo Abbate? Lorenzo Tosa? Emilio Mola? Tutti nomi di “viralizzatori” che fanno contenuti tutti uguali e scontati. Oppure fare i reazionari alla “noncielodicono”; quello non è il tipo di blogging che ci piace!
    Ora leggiamo un po’ di altri tuoi articoli e se è, mettiamo il follow!
    Elettrona e Gifter

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    1. Sì, in effetti, e non l’ho sottolineato nell’articolo, il problema è che per sponsorizzare devi pubblicare solo articoli che vanno per la maggiore. Non puoi recensire, per esempio, Philp K. Dick, a meno che non lo fai di quel libro di cui Amazon ha fatto una serie TV di 4 stagioni, ma devi presentare autori che vendono tanto, cosa che non mi interessa affatto. Anche perché le mie recensioni non sono il massimo.
      E poi c’è un secondo problema. Se tutti sponsorizzano un articolo, un libro, come potrà mai essere visualizzata la tua pubblicità in mezzo a un milione di altre pubblicità se solitamente una persona guarda la rete in media 8-12 ore al giorno? Come fa un milione di pubblicità a essere divise in un arco di tempo così breve? Si satura tutto. Ed ecco perché io non sponsorizzo. Sono articoli. Chi li vuole leggere li legga.

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      1. Ma poi uno ci deve spiegare come fanno, millantamila blog, a pubblicare la recensione sempre dello stesso libro! Che senso ha! Poi ti trovi l’internet con migliaia di pagine tutte con lo stesso contenuto.

        Magari uno ti scrive “questo libro racconta la guerra” l’altro “un conflitto armato tra due stati” l’altro “un’operazione militare speciale” però alla fine cosa ti resta impresso?

        Noi di rado mettiamo i link di affiliazione, solo quando citiamo un libro. Un blogger della domenica ci aveva pure consigliato di mettere il link ogni qual volta scrivessimo “freddie mercury” o “queen” SPESSO… Col plugin specifico dell’autolinking. Ma che senso ha l’affiliazione così? Abbiamo ragione di credere che a lungo andare faccia pure danni.

        Per non parlare di siti sulla tecnologia, che seguiamo parecchio, nei quali pur di mettere le affiliazioni ci infilano anche la recensione dei cacciaviti. Ma ti pare?

        Volendo giocare “””sporco””” noi potremmo mettere gli sponsor dei preservativi ma come detto: non blogghiamo per guadagnare, ma per divertirci.

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  2. Quesiti che, ormai, si pongono tutti quelli che hanno un blog, compresa me. Un tempo credevo di più in questo strumento, forse era anche il periodo migliore per il fiorire delle pagine virtuali, una moda, che ora è un po’ tramontata a favore dei social: lì, la visibilità è maggiore, credo. Ma il punto, per me, è anche un altro: abbiamo ancora qualcosa da dire? Perché se cerchi di scrivere qualcosa che interessi non ne esci più: è capitato anche a me di pubblicare post che pensavo di grande richiamo e invece risultavano più letti quelli in cui avrei scommesso meno. L’interesse è variabile, non lo puoi inseguire. Invece, noi, quando scriviamo, abbiamo realmente un contenuto valido? Perchè ormai, in giro, è rimasta poca roba e, al di là dei blog che seguo da anni, se voglio rinnovare il parco following trovo il nulla. Meglio scrivere con costanza qualunque cosa pur di mantenere il ritmo e la presenza oppure scrivere meno, diluire la presenza nel tempo, ma produrre qualcosa che abbia una qualità maggiore?

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    1. A scrivere forse c’è ancora la voglia, il punto è se uno poi lo fa, se ha la voglia di mettersi a sistemare quanto scritto, per presentarlo in modo decente. Per esempio, non so se quando pubblico un nuovo romanzo, come mi è successo di recente, io riesca, nell’articolo qui sul blog, a dire cose sensate o se produca una serie di parole confuse che riescono a ottenere l’effetto contrario a quanto ci si aspetta da un articolo di presentazione di una lunga gestazione. Ragion per cui (ma non è l’unica) poi l’articolo sul romanzo e il romanzo resta come rumore di fondo. E l’ultima gestazione è durata tre anni e due mesi, per il momento. Sto sistemando l’ultima parte ma chissà. Diciamo un altro mese e mezzo visto che sto editando e scrivendo da tanto, e sento alta la soglia di attenzione al dettaglio, che poi, per come sono fatto, non riesco mai a trovare pace. Poi il sottoscritto potrebbe pure sparire, chissà. Per tanti già lo sono. 🙂

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