La classica domanda che ci si pone nel tempo, o che ci viene posta quando scriviamo, è: “Perché scrivi?”.
L’altrettanto tipica risposta è: “Perché mi piace”.
Scrivere non è mettere insieme una sequenza casuale di parole alimentando pagine e pagine dove magari in un paragrafo di 15 parole si usa 5 volte lo stesso verbo o aggettivo.
Le vicende personali, la vita, gli eventi mondiali, i pensieri che vanno e vengono su certe cose, mi hanno spinto a trascurare il blog. Penso sempre di avere qualcosa da dire, e ce l’ho, ma forse ci sono già tante opinioni in giro su ogni cosa e in ogni dove che magari le mie non interessano coloro che capitano qui facendo una ricerca. In realtà mi chiedo anche io se sia il caso avere una opinione su ogni cosa, per forza, sempre.
Le energie cerco di usarle per altro, per quanto, alla fine, si disperando lo stesso. Immagino conosciate la sensazione.
Detto ciò, esattamente due anni fa iniziavo a scrivere il settimo volume della saga familiare “Le parole confondono”. Sono passati già due anni, wah.
Nel 2022 oramai si assiste a una realtà deforme, rispetto a come la si sarebbe immaginata, e anormale rispetto a come la si sarebbe fortemente desiderata. Si è assistito a momenti sempre più bui e aberranti, e ancora si assiste. D’altra parte l’ho sempre detto: “La realtà supera la fantasia”.
Pandemie, limitazioni della libertà personale, guerre, pericoli di bombe atomiche e conflitti nucleari.
Sabato scorso ho assistito pochi minuti a un incontro in piazza dove ci ricordavano, con una grande amarezza, gli eventi di cui ora nemmeno più si parla.
Chi di noi non ha un account su un social network? Alcuni social network sono insidiosi, vendono i nostri dati personali, tracciano le nostre ricerche sul web, sono fastidiosi, andrebbero cancellati. Tenerli su uno smartphone Android diventa abbastanza pericoloso: ci sono stati casi in cui le app Facebook hanno chiesto accesso al telefono e alla rubrica dello stesso per diventare veri e propri spyware.
Ho smesso di usare Facebook (e app correlate) da un po’, rimosso da ogni dispositivo smart, ma non posso fare a meno di affacciarmici ogni tanto. Mi voglio costringere a non farlo più.
A parte il silenzio e la concentrazione, la scrittura va affrontata di petto. È solo scrivendo che si arriva a conoscere meglio una storia e che ci si va incontro al percorso che è segnato e che non è sufficientemente noto finché non se ne trovano i passi. È come una luce magica che di notte in un bosco illumina un sentiero che prima non sembrava essere lì e che seguendo il quale si giungerà a destinazione.
Certe scene sono inevitabili, necessarie, affinché il lettore non possa restare deluso, affinché il tuo personaggio, creato con cura, con amore, non resti incompleto.
Come dice Barbara Businaro nel suo articolo, la seconda settimana del NaNoWriMo è la più tosta.
Iniziare a scrivere qualcosa lo si fa facilmente. Senza idee precise si possono anche scrivere un po’ di pagine. Se si riesce a ritagliare un po’ di tempo si regge per sette giorni e si arriva a 7*1667 parole, ovvero 11’669 parole, forse nemmeno se non si hanno un minimo minimo di idee chiare e il tempo.
Metti che ti ammali, oppure che ti viene una settimana intensa di lavoro e la sera sei uno straccio che l’ultimo dei tuoi pensieri è metterti davanti al Mac al tuo computer Linux a scrivere. Sei stanco, non ti verranno nemmeno le idee. Al limite vuoi goderti di un paio di puntate di Suits su Netflix, o di The Good Wife, o di Hill House, oppure di tutte quelle serie straordinarie che poi ti fanno venire una voglia matta di scrivere.
In tanti anni ho vissuto, come naturale che sia, un crescendo nel modo in cui mi approccio alla scrittura. Il mio primo e-book (“Deve accadere“) è stata una raccolta di racconti in cui, lo ammetto, non ho dato il massimo, almeno non ho dato il massimo che darei oggi con tanti anni di distanza e tanta esperienza in più. All’epoca, però, forse era il mio massimo in quelle condizioni, ovvero non avendo alcuna idea di cosa fosse il self-publishing, non che adesso ne sappia di più, e non sapendo in che modo fare verifiche sul testo, senza avere alle spalle scrittura di romanzi e molto esercizio scrittorio e di editing.
Oggi, chiaramente, mi sento molto più preparato ad auto valutarmi, a sapere se un testo è più o meno pronto o interessante, e so come va corretto e a chi posso chiedere una mano. Continua a leggere “vecchi e-book, nuovi e-book”→
Spesso, scrivendo da anni, mi interrogo su quale sia il senso che c’è dietro l’atto della scrittura e, soprattutto, quello di continuare a farlo.
Oggi tutti hanno almeno 15 romanzi nel cassetto. Nel 2017, quasi 2018, con Amazon, chiunque abbia un computer e una connessione a internet può “invadere” il mondo col proprio prezioso “libro”. Basta un attimo. Ragione in più per pensare cosa fa la differenza tra impegnarsi e non farlo, perpetrare e darsi per vinto, esausto.
Venerdì scorso davo uno sguardo all’ennesimo romanzo porno spacciato per “erotico” su un gruppo Facebook dove oramai arriva solo immondizia allo stato puro in blocchi da 10 porno al giorno. Tutto gratis. Oramai si scrive solo di porno, facendolo malissimo, tra l’altro.
Non ho letto la trama, ho aperto l’anteprima del libro per vedere la qualità infima dove arrivasse.
Da un po’ di tempo a questa parte mi sto interrogando su una cosa che un autore deve definire nel momento in cui decide di pubblicare il suo primo libro. Diciamo che oramai sono in ritardo di 5 anni.
Qual è la domanda che mi sto facendo? Eccola: “Perché non ho scritto con uno pseudonimo?”.
Oggi è il primo giorno d’autunno, le foglie degli alberi sono rosse, marroni, ti vien voglia di andare in campagna, sederti su una sedia a sdraio al sole tiepido e magari stare lì a non fare nulla, solo a guardarti intorno.
Eppure le stagioni sono cambiate. Negli ultimi 21 giorni era estate, ma non lo era davvero più. Avrei voluto andare al mare, ma tira vento, il cielo si rabbuia, ci sono le nubi scure, per non parlare dei giorni di pioggia, intensi e ripetitivi, noiosi quasi.