Hai bisogno di approvazione per quanto scritto?

Photo by Efe Ersoy

L’opinione per un proprio scritto si può ottenere da chiunque, non necessariamente da un editore, anche perché un editore riceve più manoscritti di quelli che può leggere e, spesso, se si sono dedicati a dare un occhio alla sinossi già è tanto, in generale gli allegati dei messaggi di posta elettronica contenenti i romanzi – o i plichi (alcuni richiedono ancora una stampa cartacea dell’intero testo) – non vengono nemmeno aperti, ma cestinati direttamente.

Non faccio una critica. Descrivo solo il modo in cui si opera.

Ho parlato con molti editori e questo è il modo di fare, ecco perché a un certo punto ho smesso di perdere tempo. Alcuni pretendevano che si mandasse solo a loro il manoscritto, perché non volevano perdere tempo a valutare un testo se poi l’autore avrebbe potuto ricevere più proposte di pubblicazione. Il che è da considerarsi un tantino inverosimile.

Già da diversi anni, o magari decenni, ricevere anche solo un sì con relativa proposta, e davvero interessante, è qualcosa di poco reale. Limitarsi a stampare il testo dopo un certo editing e lasciare tutto il lavoro di promozione a un autore, io non la riterrei una proposta interessante.

Dover ricevere per forza l’approvazione di un editore altrimenti non si è nessuno può essere l’unico riconoscimento vero per chi legge pochissimo, per chi non scrive quotidianamente da decenni. Persone che non conoscono effettivamente come si presenta un testo, e meno che mai sanno come renderlo pronto per la pubblicazione, hanno un gran bisogno di approvazione.

Ma oggi come oggi l’editore oramai non ha più questo ruolo: ha scelto lui di non avercelo. Oggi una casa editrice è un’azienda e non va in cerca di persone che non sanno scrivere per poi educarle alla buona scrittura, anche perché l’importante è che venda, non interessa se sia o meno buona scrittura, che poi è sempre tutto relativo.

Vediamo se anticipate il mio pensiero. Cosa diceva il famoso filoso greco Protagora di Abdera? Diceva: “L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. Cioè: si giudica in base ai propri gusti ciò che è bello e ciò che non lo è.

Però bisogna sempre capire da chi arriva un giudizio, una critica, e quanto è approfondita o meno, quanto tecnico risulta essere il giudizio, perché non vale qualcosa di molto molto sintetico di chi non legge mai nulla. Un “bellissimo” non dice molto, al pari di “non mi è piaciuto”, senza alcun elemento per valutare l’affermazione.

In realtà non credo succedesse nemmeno prima, che una casa editrice cercasse scrittori da educare alla buona scrittura, ma la differenza tra il prima e l’oggi sta nel fatto che oggi non si può assolutamente rischiare di pubblicare testi che il mercato non richiede, e il sistema più semplice per saltare questa parte è quello di scegliersi potenziali scrittori da pubblicare che hanno una folla, un pubblico di seguaci alle spalle e, quindi, farsi avanti con un contratto di edizione. So che ripeto sempre le stesse cose, ma non tutti leggono i miei articoli e non tutti hanno chiaro il concetto. Ci si emoziona troppo facilmente dopo aver scritto, per la prima volta, un testo. Non si hanno chiari i parametri di pubblicazione nel 2025.

Certo, qualcuno magari scrive anche tanto e legge altrettanto e comunque non riesce a uscire da questo bisogno di approvazione, perché è comunque una gran comodità. Si scrive tanto, non si ha il tempo, la voglia e la necessità di correggere quanto prodotto, tanto ci pensano gli editor della propria casa editrice, soprattutto se sei uno scrittore noto al pubblico, e soprattutto se non hai mai lavorato su testi diversi dal tuo, non ti sei mai messo con tanto impegno e tanto tempo a rileggere in maniera critica ogni singola frase del tuo romanzo e a metterla in discussione. La leggi a voce alta e pensi: i verbi sono corretti o ne servono di più specifici? Gli aggettivi sono quelli idonei? Serve questo paragrafo ai fini della storia oppure meglio cancellarlo? Naturalmente non è assolutamente sufficiente farlo una sola volta, perché il livello di attenzione al testo varia col tempo e con l’ambiente in cui si lavora allo stesso.

In genere ci sono scrittori che non riusciranno mai a fare a meno del bisogno di approvazione. Ci deve essere sempre qualcun altro che deve assentire: “vai, pubblica”, “mi piace, pubblica” e poi ci sono quelli che fanno a meno di tutto perché “non è la forma che conta, non è il modo in cui si racconta, ma è la storia”. Quest’ultimo pensiero si vede in molti testi in libreria, anche da parte di grandi editori, soprattutto su temi specifici, qualcosa che risulta una sorta di saggio narrativo: non un romanzo, non un saggio, ma un testo rassomigliante a un saggio colloquiale presentato sotto forma di diario.

A volte non è nemmeno tanto un problema di bisogno di approvazione. In alcuni casi è rendersi conto in più occasioni che è impossibile trovare tutti i difetti di un testo, anche provandoci. Certo, l’esperienza nei confronti di una storia, e il modo in cui va corretta, cambia molto nel tempo. Non tutti si sentono di editare un romanzo, molti non lo sanno fare affatto, tanti non conoscono nemmeno le regole della grammatica, il concetto di d eufonica, il fatto che bisogna evitare un uso eccessivo di avverbi che finiscono in -mente o un uso continuo di che, tanto per dirne una. Ma è chiaro che non ci fermiamo a questo. Quanti sanno gestire in modo preciso un punto di vista? Un dialogo? Una ambientazione? Uno stile? Una trama interessante? Sono concetti che a volte non si riescono a imparare e migliorare nonostante si possano aver scritto e pubblicato molti libri e, come detto, altri hanno chi corregge per loro. Una nota: “scrivi meglio questo paragrafo accentuando la paura del personaggio”, “cancella le prime 10 pagine, non dicono nulla” e via.

Se c’è qualcuno che ci aiuta a notare cose che magari anche dopo aver letto mille volte sfuggono, tutto può diventare un po’ meno complicato, ma scrivere resta pur sempre una grande fatica.

E come si fa se il beta-reader ci ha abbandonati senza avvertirci? Eh, questo ci fa sentire davvero più incerti, terrorizzati, ma se la strada è sengnata ci si dota di una pazienza ultraterrena e se si ha una buona esperienza di editing allora si mantiene il sangue freddo e si rilegge ed edita il testo in momenti diversi, si va meno di fretta e se uno se la sente si pubblica. Da autore indipendente non si hanno scadenze, non si viola alcun contratto di edizione se si rimanda di un anno la pubblicazione, oppure se non si pubblica più nulla.

Sono stato io stesso un beta-reader e sapendo quanto ci tengo io a ricevere dei buoni commenti da chi mi legge provo sempre a essere sincero, ma tecnico, devo motivare perché una frase suona meglio se scritta in un altro modo, quando non è evidente. Una volta mi sono preso un impegno, ho provato in tutti i modi a portarlo avanti, ma non sono riuscito per l’opera completa, però non sono sparito, ho consegnato tutte le mie note e appunti dicendo che se avessi avuto tempo allora avrei continuato volentieri. Certi impegni li vivo in prima persona come se non fossi io a editare ma lo facesse qualcuno per me e volesse sapere. Si può anche interrompere. Gli imprevisti possono capitare a tutti, ma la sincerità, soprattutto se si ha sempre avuto un buon rapporto, è fondamentale, è un atto di amicizia e di stima reciproca.

Abbandonare con il silenzio è un tantino sgradevole e non ha nulla che lasci pensare a un buon rapporto.

Quindi il bisogno di approvazione verso un proprio testo è una sensazione che capisco molto bene. Non la giudico, perché è qualcosa di normale ma, in certe situazioni, diventa difficile andare avanti se non si è nelle condizioni di rialzarsi con tantissima determinazione quanto tutte le forze della natura si mettono di traverso, quasi a suggerire di lasciare perdere.


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2 pensieri su “Hai bisogno di approvazione per quanto scritto?

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