13 anni di editoria e cambiamenti: parte terza

Quando pubblicai il mio primo romanzo in self-publishing decisi di fare le cose in modo molto serio, non che ora non sia così. Assunsi un editor professionista nonostante fu riluttante a farmi una prova, non sapevo come avrebbe editato il testo in alcun modo e mi ritrovai, per esempio, a essere cambiati tutti i caporali che ho sempre usato per i dialoghi con delle virgolette doppie, e ricordo bene di essermi un po’ irritato e aver chiesto spiegazioni, mettendo poi dei vincoli ben precisi, inclusi i nomi abbreviati dei miei protagonisti che iniziò a cambiare tutti, in quanto non esiste una regola valida per scrivere André, anziché Andre’ o Andre.

Molte cose non furono sistemate, come mi fece notare in seguito un beta lettore quando gli sottoposi il testo editato. Lo ripresi dopo anni perché stavo scrivendo il quinto volume della serie/saga di cui “Le parole confondono” costituiva il primo. Il quinto, “Sempre coi tuoi occhi”, si ricollegava in diversi punti al primo volume, così iniziai a rileggere il vecchio romanzo. Già da solo, dopo anni di esercizio all’editing, trovai varie cose fuori posto, così pensai di risistemare meglio tutto, visto che a questa serie di romanzi ci tengo molto. Il tema del disagio, del crescere in fretta, di scappare di casa e andare a vivere a Londra era una cosa che ha accompagnato in modi diversi le storie di Andrea, Giulia, Francesco, Salvatore, Sergio, Monica.

Editing

All’epoca dell’editing non mi accorsi di tante sfaccettature, ero ancora inesperto. Non fu un buon editing, lo riconosco, ma nemmeno scadente. Col senno di poi ho sistemato da solo i problemi che riuscii a individuare e che l’editor avrebbe dovuto portare alla luce.

In realtà, alcuni elementi di un testo li può sistemare solo l’autore, ma da allora ho diffidato degli editor professionisti. Avevo, per esempio, iniziato a seguirne uno che faceva di continuo dei video parlando dell’importanza di trovare un editore e siccome aveva contatti con grandi editori e stava scrivendo un libro era quasi sicuro che un grande editore l’avrebbe pubblicato. Non aveva mai pensato al self-publishing perché diceva fosse una soluzione per chi non si impegna. Poi, un bel giorno, visto che diversi editori rifiutarono il suo testo, l’idea che aveva maturato sul self-publishing cambiò del tutto, dalla sera al mattino, in un grande atto di coerenza. Che figura, eh! Perché lui aveva un grande rifiuto per il self-publishing, sembrava qualcosa di inscalfibile, un poco come per tanti che guardano questo fatto di pubblicarsi da soli come una cosa da sfigati senza midollo, qualche autore di cui avevo stima lo definì: un atto di masturbazione.

Mi venne da ridere, e da allora ho smesso di seguirlo e di seguire l’autore in questione, anche perché bisogna capire che la scrittura è un fatto personale anche quando è fatta per un pubblico, alla fine è l’autore che decide cosa raccontare, come e a chi.

Un altro editor, sempre professionista, si lamentava pubblicamente di tutti gli errori che trovava nei testi che gli sottoponevano, e tutti gli amici e le amiche a dare sostegno alla cosa. Voglio dire, se ti fai pagare, fai il tuo lavoro senza lamentarti, oppure fai una rigida selezione dei testi che accetti. Se un dattiloscritto fa schifo e va riscritto da zero si capisce subito. Qual era il senso di mettere alla pubblica gogna i clienti? Ostentare la propria bravura nella speranza di prendere altri clienti? Ovviamente non faceva nomi e cognomi, ci mancherebbe, ma io trovai la cosa davvero poco professionale e lasciai perdere l’idea di farmi editare da un editor professionista in modo definitivo.

E, alla fine, mi sono detto: che ognuno facesse quello che vuole coi propri libri belli o brutti che siano. Solo editoria tradizionale, solo self-publishing, metà strada. Ognuno è da solo. E gli editor che continuassero pure a lamentarsi della gente che non capisce un cazzo e si edita da sola o tra amici e pubblica senza un editore. La bocca è fatta per esternare le proprie emozioni, e per sputare sentenze secondo quanto fa comodo in un dato momento.

Editoria

Il mio primo romanzo, prima di essere editato, fu sottoposto alla lettura di una piccola casa editrice che mi disse che l’idea era buona, e lo era anche il modo in cui veniva portata avanti, ma il testo aveva bisogno di editing. Sottolinearono che non me lo stavano dicendo tanto per dire, come contentino, ma perché si vedeva che avevo talento e che avrei potuto sottoporre loro il testo migliorato, se volevo. Comprai anche 2-3 e-book da loro pubblicati, questo prima di mandare il mio romanzo, e mi piacquero molto, erano davvero ben fatti. Ecco perché mi rivolsi a loro per far valutare il romanzo, anzi mi avrebbe fatto molto piacere averli come editore, non lo nego.

Dopo qualche anno dall’apertura chiusero. L’impegno e i costi per portare avanti una casa editrice che facesse sul serio erano alti. E loro facevano sul serio. Un vero peccato. Non ho mai nutrito molta stima negli editori, ma di loro ne avevo tanta. Erano proprio bravi e i testi che proponevano erano ottimi.

Un’altra piccola casa editrice che conoscevo di persona quando seppe che avevo scritto e pubblicato un romanzo si offrì di recensirmelo. Lo mandai e dopo non molto mi arrivò una proposta di pubblicazione. Lo avevano divorato. Era piaciuto tanto. Rifiutai. Erano troppo piccoli e non ero affatto convinto sarebbero andati avanti. Tanti editori chiudono bottega.

Oramai avevo deciso che avrei curato io il testo, la pubblicazione e tutto quanto ne veniva di qualsiasi mio testo a venire. Nel bene e nel male.

È vero che a spingermi al self-publishing erano stati diversi rifiuti di un altro romanzo che avevo scritto, e che ho seppellito. Forse un giorno lo riesumerò. Forse, ma anche no. Alcuni editori conosciuti sui social network che promettevano di informare dell’inizio della lettura e di dare una risposta, anche negativa, per educazione, in realtà non davano alcuna risposta. E meno male che la cosa era scritta bene in evidenza sul loro sito internet: “per educazione rispondiamo sempre a tutti, anche in caso di rifiuto”. Stessa esperienza ebbe un’altra mia amica con la stessa casa editrice e quindi l’idea di non aver bisogno di un editore divenne sempre più forte.

Sottoposti “Le parole confondono” a quella casa editrice in cui credevo, quella che poi chiuse e credo a un’altra. Poi basta. Il dado era tratto.

Negli anni ho smesso di credere a molte persone e in molte persone. L’editoria è disseminata di saccenti, di editor professionisti non professionisti, in alcuni casi mi sono imbattuto anche in truffatori, ma quelli non mancano mai in nessun campo.

Ho pubblicato 8 racconti in altrettante antologie per un editore senza che mi venisse mai chiesto un solo centesimo. Quindi, alla fine, bisogna capire cosa si vuole fare nella vita, se pubblicare con un editore, e quando, oppure fare in autonomia e perché, conoscere quali problemi questa seconda opzione riserverà e come affrontarli con grinta. Oppure limitarsi a leggere i testi degli altri, che male non fa. Non lo ha detto il medico di scrivere e pubblicare. Io, infatti, leggo molto, almeno ci provo. Di recente sto apprezzando molto Emile Zola e Victor Hugo.

In generale, se anche una grande casa editrice arriva a mettere in copertina tette e culi per vendere di più, come vi dicevo nello scorso articolo, allora, fossi in voi, qualche domanda me la farei.

Per il resto, ognuno è libero di comprare libri dell’editore che più gli piace, qualsiasi libro voglia, libero di farselo piacere o non piacere, perché, diceva il filosofo greco Protagora di Adbera: “L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”.

Siete o non siete d’accordo col filosofo greco?

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I miei romanzi, racconti e raccolte di racconti li trovate qui.


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