Il pavimento è freddo, al mattino, ma l’aroma di caffè che risacca dolcemente tra le pareti della cucina consola ben

presto d’aver lasciato il calore delle coperte. Con la tazza calda fra le dita, e la giornata confinata ancora fuori dalle persiane, si potrebbe restare per ore nella stessa disposizione d’animo e di membra, rimboccati insieme nella dolcezza del momento. A pranzo, poi, chissà. Forse di nuovo qui, in cucina, per un appuntamento con la consuetudine; o forse altrove, persino contenti di non dover lavare i piatti, dopo mangiato. E poi vengono i pomeriggi per le merende dei bambini – del pane-e-nutella che a casa del compagno di banco c’è sempre, e a casa propria mai; i pomeriggi per le esplorazioni culinarie, per gli ingredienti inventati e la crema ovunque; i pomeriggi dei cento spuntini che giustificano una distrazione – dallo studio, dall’umore. Più tardi, quando le finestre non bastano più e i pianerottoli si riempiono di profumi, in cucina s’aspettano i figli più grandi e i mariti, oppure si pensa solo a sé e ci si vizia, o ci si trascura. E nelle notti dagli occhi spalancati, è in cucina che ci si rifugia, con l’immancabile camomilla, il rumore discontinuo del frigorifero e la lucina rossa del piccolo televisore, votato ai tg delle ore pasti.
tratto da http://perronelab.it/node/246
Nell’antologia edita da Giulio Perrone Editore compare il mio racconto “Regalo di Natale”. Un testo a cui sono legato per vari motivi e in cui mi ci trovo coinvolto, un po’ come tutte le cose che scrivo.
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