Il silenzio parla, perché le parole confondono

Foto di Brett Jordan:

Il silenzio parla, perché le parole confondono. E il blog ha avuto un periodo di silenzio.

Quando si scrive un articolo per un blog bisogna pensare bene, dedicarci tempo e, soprattutto, è inutile scrivere sempre delle stesse cose, essere negativi o parlare del nulla. Non so se io cado o sono caduto in questi casi.

Il periodo è abbastanza duro. Quando la sera mi ritiro da lavoro, cerco di organizzare tutto e in un attimo si fa mezzanotte o addirittura l’una e concludo la giornata senza aver scritto una sola parola, senza aver studiato i corsi che ho comprato da tempo immemore, senza riuscire a pensare al blog, o alla lettura, e vado a letto e già è tardi e mi devo svegliare.

Ho smesso di sperare, ho smesso di desiderare, sono rassegnato al disastro di città in cui vivo e alle conseguenze di vivere un disastro di città, dove nel 2024 devi ancora andare di persona presso un ente pubblico con una richiesta scritta dal medico che te la scrive solo di persona pagando, poi devi prendere un numero a uno sportello, fare una fila iniziando dalle 6 del mattino (per fare prima degli altri) per vedere se in due ore un ufficio pubblico (dalle 8 alle 10) ti può dare quanto ti serve. Al telefono non rispondono, la mail non sanno manco cos’è.

Paghiamo le tasse, ma i disservizi non si contano più.

Avevo la speranza di scrivere per estraniarmi da questo disastro ma, tra una emicrania con aura e una completa assenza di tempo che non avevo mai sperimentato prima, sto affondando, piano piano. Forse sono già sul fondo del pozzo e non me ne sono ancora reso conto.

Dovrei cambiare hosting, rendere il mio blog non soggetto a pubblicità e cookie di terze parti, dovrei migrare verso un provider di posta elettronica come Proton per riprendere la mia privacy.

L’account di Facebook non lo apro più. Voglio cancellarlo. Perderò però quei pochi che forse leggono i post del blog tramite la pagina autore di Facebook e perderei qualche persona che non sento da mesi.

Non lo so.

Nel frattempo a fine mese viene dismesso il servizio di newsletter su cui ho forse 8 iscritti. Non sarebbe difficile gestire una newsletter da me, visto che sono un sistemista Linux e uno sviluppatore, potrei realizzare un servizio di newsletter, ma occorre tempo. Poco tempo, ma il tempo dove sta?

Stessa cosa per il blog. Potrei svilupparmi da solo un blog leggero ospitato senza pubblicità e cookie da accettare, senza tracciamenti. Sarebbe un grande passo avanti rispetto a testate giornalistiche che hanno preso esempio da Facebook, ovvero se non paghi ti tracciano 772 aziende varie, se paghi forse sempre ti tracciano ma non possiamo saperlo (riescono davvero a gestire la differenza tra il tipo di utenza? Io non ci credo), ma gli articoli, spesso inutili e sgrammaticati, te li fanno leggere se permetti la vendita delle tue informazioni.

Nel frattempo riesco a leggere anche poco. Ma un libro che ho molto apprezzato in questo periodo è stato “Il mondo deve sapere” di Michela Murgia. Un romanzo che dice una verità assoluta sul mondo del telemarketing feroce dove la gente, pur di vendere, si libererebbe della madre senza pensarci due volte. Che poi è un argomento attualissimo, oggi nell’epoca di questi siti selvaggi dove c’è solo pubblicità e tracciamento, ovvero si tiene traccia di ogni link che si apre, su quale sito lo si è aperto, cosa si è cercato in rete, ecc ecc…

E poi ti ritrovi altrove la pubblicità di prodotti che guardavi ieri da un’altra parte. E non solo, quante telefonate di gente che vuole vendervi le azioni Amazon e i contratti telefonici al giorno si ricevono? Io una volta ho ricevuto la telefonata di un’operatrice per 5 volte di seguito perché la prima volta avevo detto che ci avrei pensavo e a 5 e 10 minuti di distanza ha chiamato 4 volte per sapere se ci avevo pensato. Ho dovuto bloccare il numero, perché era con lo smartphone, sennò bisognava staccare il telefono dalla presa a muro e distruggerlo.

Se vi capita, leggetelo, secondo me, è una piccola perla e rappresenta in modo lindo e pinto ciò che è una ben precisa realtà, lo fa con quella grande ironia con cui puoi argomentare di un certo mondo, ironia che comincia già coi nomi, e puoi immaginare queste dinamiche, queste scene, non è nemmeno un testo lungo, scorre davvero bene.

Per il resto, assurdamente sto provando, quelle rare volte che ne ho il tempo, di scrivere l’ottavo capitolo della serie “Le parole confondono” e una saga di fantascienza, ma penso che a nessuno interessi granché né dell’una e né dell’altra.

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