
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in un nuovo genere di serie TV, il cosiddetto “Feel Good”. È un tipo di fiction in cui tutto risulta perfetto, splendido, magico, magnifico, meraviglioso, abitazioni incluse, in cui ogni angolo è in ordine, fatte di una perfezione eccessiva. E questo per tutte le abitazioni di tutti i personaggi della serie.
In questo tipo di storie succede ben poco e il dramma dura giusto 5 minuti come pretesto per rinvangare concetti e frasi motivazionali, le quali si usano in maniera eccessiva, e per tutto il tempo, in ogni singolo dialogo, da parte della bambina di 8 anni, come dell’adolescente di 14 o di 17, come della donna di 40 o 80. La cosa, in effetti, risulta snervante perché la gente non può parlare sempre e per tutto il tempo, soprattutto se adolescenti e bambini, con continue frasi del genere. Viene meno quel poco di sospensione dell’incredulità che c’era e, di conseguenza, ci si trova innanzi a storie e dialoghi irreali. Vero è che si tratta pur sempre di fiction, ma immaginate questi personaggi sempre impeccabili che, per esempio, dicono: “Oh, Carl, sei una persona meravigliosa, l’amore che provo per te è infinito e so che tu ricambi gli stessi meravigliosi sentimenti per me perché sei un uomo fantastico, non ho mai incontrato in vita mia una persona così, e mi sento tanto fortunata. Sono la donna più fortunata del mondo ad amare una persona intelligente, meravigliosa, unica, fantastica”. E una volta, e due, e tre, e quattro, e cinquanta. E poi magari ad aggiungere qualche frase motivazionale in coda a quella di esempio.
I personaggi si fanno complimenti continui l’uno con l’altro e gli aggettivi “perfetto”, “magnifico” e “meraviglioso” saltano fuori ogni tre secondi come se non vi fosse un domani. E non lavorano più di tanto, ma vivono in una specie di bolla, in una favola, in una comunità super perfetta dove sono tutte bravissime persone, meravigliose, perfette e magnifiche.
Frasi motivazionali di autostima dalla mattina alla sera. L’amore è perfetto, sono tutti sempre comprensivi, però nessuno di loro ha una storia personale, non c’è una una psicologia propria, ma collettiva, sembrano tutti uguali e si muovono al servizio della trama, in un gran calderone di eventi molto prevedibili, dove nessuno è cattivo e chi lo è risulta un totale e completo cliché della cattiveria, non c’è un motivo, una storia pregressa, un evento della loro vita messo in risalto, analizzato a fondo.
Si parla anche di argomenti forti, ma subito si cambia discorso, non si approfondiscono, giusto 5 minuti di dramma, d’altra parte devono vincere i buoni/buonissimi sentimenti che non possono essere oscurati dal dramma. Parte la frase motivazionale e si va avanti con la prossima scena.
Altro esempio, una delle tre amiche protagoniste ha il diabete, però, a parte una scena, non ci sta mai attenzione all’alimentazione. Allora, dico io, perché dire che ha il diabete? Per un momento di dramma da 5 minuti in cui sviene?
Non ho niente contro le serie in cui un personaggio affronta difficoltà in modo positivo, ci sono serie che ci mostrano i personaggi e le tematiche forti, rendono il tutto reale e credibile, addirittura crudo. Penso a “Euphoria” e “Skins”, dove si resta a bocca aperta per la realtà tosta narrata e mostrata. Certo, il genere è completamente diverso. Penso a “Lost” dove si dà una storia ai personaggi e, anche se sono tanti, vengono approfonditi, si forniscono loro motivazioni riguardo il comportamento all’interno del contesto narrativo.
Certe scene del “Feel Good” sono allucinanti. I finali di stagione delle prime due stagioni sono follia pura. I personaggi si comportano in modo non reale per molta parte del tempo, ma nei finali di stagione la cosa peggiora. Il finale di stagione cerca di dare una gran botta alla storia, di creare un grande momento di drammaticità, confezionando sempre frasi motivazionali per superarlo.
Per produrre il dramma di fine stagione si fanno comportare tutti i personaggi in modo irreale alla massima potenza. Una piccola spinta data da un ragazzo a un altro ragazzo porta quest’ultimo a cadere a terra e farsi male la spalla come se fosse di carta pesta al punto da dover fare molta fisioterapia per recuperare l’uso del braccio, giocandosi di conseguenza tutta la carriera sportiva che fino a quel momento era tutta la sua vita. Una cosa pazzesca! Un dramma così forzato che ti chiedi se ci sia qualcosa che ti sfugge o meno. Non è credibile. Se qualcuno ti dà una piccola spinta, tu che hai 17 anni, nemmeno cadi a terra e meno che mai la spalla e il braccio tutto si paralizzano per settimane se dovessi davvero cadere. Rotolassi per le scale allora ci può pure stare.
A questo si aggiunge un incidente improvviso in cui un ragazzino di 14 anni si trova alla guida di una jeep con una ragazzina. Il ragazzino è il fratello del 17enne che si rovina la carriera sportiva. Perché e come sia avvenuto l’incidente non è dato sapere. Nel finale della prima stagione mi sono detto: “Ma sanno come si gestiscono i personaggi, i dialoghi, le motivazioni e i cliffhanger narrativi?”
I personaggi fanno piccole cose anche insignificanti che poi si trasformano in grandi “tragedie” che spingono a totale e immotivata rottura di amori e amicizie, ma essendo “Feel Good” sai che il “dramma” durerà 5-10 minuti, forse parte minima di 2-3 episodi, ma pur sempre irreale. Tutto tornerà a posto in brevissimo, al punto che inizi a dire: “Ecco, ora succede questo” e, in effetti, così va a finire. Si rompe un’amicizia di donne adulte per motivi che nemmeno da adolescenti succede e poi tornano amiche con la solita frase motivazionale e i grandi complimenti reciproci.
In queste serie c’è un fulcro. La forza della comunità religiosa in cui nessuno è cattivo, nessuno ha la luna storta, tutti sono amici, grandi amori, tutto funziona per il meglio e i personaggi si muovono al servizio del bene della comunità.
La donna tradita diventa la migliore amica dell’amante del marito al punto da regalare la copertina (di quando i figli erano appena nati) al futuro bambino di questa rivale, con tutta la normalità del mondo e dove il personaggio del marito traditore diventa uno stereotipo superficiale senza passato e senza storia e di cui nulla ti frega. E anche di questo tradimento non si sa nulla. La storia inizia col fatto già avvenuto. Appena un po’ di dissapore col ragazzo di 17 anni di cui sopra.
Questo personaggio traditore e cattivo non gioca chissà quale ruolo, è tanto marginale che non si viene nemmeno a sapere che un bel giorno, dopo essere stato lasciato anche dall’amante, è partito per il Messico, non si vede più e poi si viene a sapere che è morto e, in perfetto stile americano, si organizza un bel funerale con buffet e abbuffate.
E tutti i personaggi donna della serie cucinano sempre e solo biscotti con la ricetta della nonna. Nessuno fa una torta a limone, o a fragola, o una crostata o un pan di Spagna o qualsiasi altro dolce con la ricetta di qualcun altro. Solo e soltanto biscotti con la ricetta della nonna.
In questo tipo di storia non succede mai nulla di interessante, ma è fatto di eventi leggeri da prendere così come vengono mostrati, senza interrogarsi troppo, altrimenti si chiude, ci si scontra con la realtà in cui le cose vanno in modo diverso, soprattutto non si parla come un libro stampato. Bisogna essere portati e desiderosi di questo tipo particolare di fiction.
La cittadina si chiama Serenity, ovvero Serenità, ecco perché tutti sono sereni, tutti amici, tutti generosi, tutti perfetti, i datori di lavoro concedono spazio ai loro dipendenti e ai loro “drammi personali”. I datori di lavoro, in particolare in Italia, non solo non se ne fregano dei drammi personali di un dipendente, ma poi non sono amici dei dipendenti, non gli interessa nulla di loro, quindi a vedere queste scene pensi: “Mah, seh, vabbe’”. Altro motivo per smettere di guardarla.
Nella scena finale della seconda stagione un personaggio cerca di difendere una donna prendendo a pugni l’aggressore, cioè, cercando di farlo, perché è una scena caotica poco messa a fuoco da cui nasce di punto in bianco un dramma poco chiaro e viene addirittura fuori, con la terza stagione, una presunta storia pregressa di questo personaggio che era violento, ma che è cambiato e che però ha mentito non dicendo a nessuno che era violento. Tutta una tiritera sul nulla, perché si dà per scontato che sia così, si mostra ben poco sul fatto personale, o comunque è enfatizzato nel modo sbagliato che non interessa affatto.
“Sono pentito del mio gesto. Ho sbagliato” dice lui a un tratto. Quale gesto? ti chiedi. Un mezzo pugno nemmeno andato a segno? O è andato a segno? Non lo so. Ero annoiato a morte da questi eventi.
E se avesse estratto una pistola e fatto fuoco, considerando che in America chiunque può avere una pistola a portata di mano senza problemi, cosa avrebbero fatto i personaggi? Forse questo poteva essere un finale di stagione sensato, ma anche no, non sarebbe stato più il genere “Feel Good”.
Poi arriva un uragano a Serenity ma non succede nulla di particolare. Sembra più una violenta tempesta che un uragano. Gli uragani fanno molti più danni del semplice far cadere un albero su un’auto e dare problema a qualche tetto e dire che “c’è stato un disastro e ora ricostruiremo la nostra comunità”. L’albero sull’auto è fatto cadere per fare in modo che due personaggi tornino insieme. Ed era anche una scena abbastanza “telefonata”. Cioè, si capiva lontano un miglio di come si sarebbe sviluppata la situazione del ramo caduto.
La donna, una delle tre protagoniste, sembra morta nell’auto. Arriva il suo ex la salva dal ramo e si baciano. Era ovvio. Una delle protagoniste non può morire e poi già si era capito che Helen ed Eric si sarebbero rimessi insieme. “Oh mio eroe, sei stata una persona fantastica, mi hai salvato la vita, senza di te sarei morta, sei un uomo speciale e altruista” ecc ecc
In sintesi, a me non è piaciuta però l’ho vista tutta per capire fin dove si voleva arrivare. Ma non si arriva da nessuna parte. Nei finali di stagione numero 3 e 4 non succede proprio nulla. Quindi potevano pure interrompere tutta la produzione. La storia era conclusa.
L’autrice ha pubblicato oltre 100 romanzi. Ha scritto più di Stephen Edwin King, il che non credevo potesse essere possibile, ma con la differenza che le storie di Stephen King erano molto reali e credibili, ambientate in comunità e cittadine imperfette, e belle, almeno coi romanzi fino a 15-20 anni fa, poi anche King ha raschiato il fondo.
Diceva il filosofo greco Protagora di Adbera: “L’uomo è la misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono”. Cioè: si giudica in base ai propri gusti ciò che è bello e ciò che non lo è. Va benissimo, perché è quello che accade quando si vede un film, una serie, quando si legge un racconto, un romanzo, un fumetto. È verissimo, ma ancora non riesco a credere si possa scrivere del genere “Feel Good” o addirittura leggerne e amarlo tanto.
Conoscevi il genere “Feel Good”? So che lo conoscevi, e ora hai un motivo in più per detestarmi, per stare alla larga dal mio blog, ma dopo aver letto tanto e visto tante buone serie cerco sempre di capire come faccia il successo ad avvolgere prodotti del genere, e finisco comunque per non capirlo.
I miei complimenti, in ogni caso, a chi scrive queste cose per essere riuscito ad avere lettori, per essere riusciti a produrre su Netflix una serie e aver avuto molti telespettatori riuscendo ad arrivare ad essere approvati ben quattro stagioni. Tanto di cappello. Io non ci riuscirei. Non saprei gestire il successo e nemmeno saprei chi contattare per avere la possibilità di arrivare su Netflix con una mia serie TV. Il “Feel Good” di cui ho parlato è “Sweet Magnolia”, tradotto come “Il colore delle magnolie”.
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Non ho minimamente il coraggio di avvicinarmi a un prodotto del genere, che sia televisivo o editoriale. Aiuto. 😅
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Infatti, io a volte cerco di capire come si fa a scrivere un prodotto di successo, ma rimango molto confuso e sconvolto nello scoprire che cosa riesce ad ottenere successo. 😂
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