Vendesi patate, cipolle e… libri

Articolo ironico.

Oramai alcune librerie tutto fanno fuorché vendere libri. Dovrebbero convertirli in supermercati dove si vendono anche patate, cipolle, verdure… tanto poco ci manca. Non sto parlando a vanvera, ma su un ben preciso episodio.

So che chi mi legge penserà che sono un po’ ingenuo e che tutti sanno che in una catena di librerie che fanno referenza a un editore nazionale che ha la sua tipografia, la sua catena di distribuzione così funziona. Abbiate bontà, io ero solo illuso che non fosse davvero così.

Editore nazionale grande, sua tipografia, sua catena di distribuzione, sue librerie… quindi solo sui libri e degli amici grandi editori. I nomi non li faccio, tanto sarebbero sempre quelli… Ho visto che i grandi si prestano tra loro le tipografie. Il volume di carta stampata è pazzesco. Immane. Insomma… vedere il proprio libro in una di queste librerie è vana illusione.

Si fa una presentazione. Sudata perché:

  1. il supermercato chiede l’esclusiva;
  2. si prenota mesi prima;
  3. si deve insistere e insistere.

Risultato? La presentazione la fai. Sono gentili pure. Poi i libri vengono esposti quella giornata, forse qualche ora prima e qualche ora dopo, poi si spostano. In fondo gli espositori costano, vi pare? Questo lo so. Avere libri in bella evidenza e in gran numero su un espositore equivale a donare il sangue in gran quantità.

I libri li spostano… Andranno su uno scaffale più nascosto, in 2 o 3, no? No. Direttamente in magazzino. Ora ammesso e non concesso che se io editore ti porto dei libri mi aspetto che tu li metta dove un lettore li trova, fosse anche in fondo al negozio e poco visibili (sarebbe bello vederli da qualche parte visibili in bella vista e a gratis visto che poi li vendi). Non puoi metterli nel magazzino. Visto che chi cerca oramai si ferma su quei titoli, del proprietario nazionale della libreria, come si può solo vagamente sperare che il libro miserabile (miserabile perché la sua vita è travagliata in un mondo dove non lo si vuole più, lo si rifiuta) finisca nelle mani di uno sconosciuto lettore? La micro editoria bene fa a stare lontano da questi luoghi: supermercati del consumismo librario. Solo pochi giorni fa ho realizzato questa importate scoperta che magari molti hanno fatto anni e anni fa.

Oggi ci sono solo le piccole librerie indipendenti… Be’, anche loro vanno in crisi e anche loro devono esporre i titoli della mega catena editoriale. Quanti titoli indipendenti una piccola libreria deve e può prendere per rimanere aperta? E forse questo ci spingerà a pensare che esiste una possibile, ma non unica, soluzione:

  1. selfpublishing;
  2. e-book.

Come si legano queste due entità con il tema delle patate, cipolle e libri del titolo? Posso spiegarlo in un articolo successivo, diciamo una seconda puntata. Se gradite l’argomento.

Termino qui lo sproloquio. Bene si farebbe a smettere di leggere e comprare libri… ma tanto in Italia con tanti di quei problemi che ci sono l’ultima cosa a cui si pensa è il libro. E pure questo è vero!

Le lezioni di scrittura creativa riprendono sperabilmente dopo Pasquetta.

Alla prossima.

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7 pensieri su “Vendesi patate, cipolle e… libri

  1. A pensarci, il web è un enorme espositore per i libri, e per di più senza il rischio che li mettano in magazzino. Se la libreria è un’attività imprenditoriale e vede il libro come un prodotto commerciale o poco più, internet è (abbastanza) libero e gratuito. Certo, arrivare al lettore tra milioni di pagine web non è facile, ma si ha più visibilità che in un deposito. Aspetto la seconda parte dell’articolo.

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  2. I miei libri sono stati distribuiti da FNAC e lo sono ora da Feltrinelli, ma sfido qualcuno di voi a dirmi che li ha mai visti sugli scaffali. Dopo qualche presentazione sono rimasti per una settimana o due in un aposito scaffale dedicato al mio editore, poi sono spariti. Questo l’ho constatato e capito già da una decina d’anni. Essere distribuiti da una grande catena non vuol dir nulla: occorre avere un titolo di punta, su cui il distributore scommette.
    Allo stesso modo, non illudiamoci che essere pubblicati da editori importanti voglia dire automaticamente promozione e buona distribuzione. Anche le grandi case pubblicano piccoli libri, che vivono la solita vita grama di quelli degli editori medi e piccoli.
    Dopo vari volumi editi con un editore medio, ho così deciso di tentare la strada dell’autopubblicazione e, soprattutto, del copyleft: insomma perché far pagare i nostri lettori per un servizio che non c’è? O, peggio, perchè mai dovrebbe pagare l’autore oltre che i lettori, nel caso di editori che chiedono pure un contributo a chi scrive (invece di pagarlo!) Se i libri i lettori li devono comunque ordinare, se non li trovano sugli scaffali, se l’editore non fa editing e neppure promozione cosa me ne faccio di editore e distributore?
    Il web è una grande vetrina e offre di tutto. Il mio ultimo romanzo, LA BAMBINA DEI SOGNI, l’ho fatto editare in rete da una cinquantina di lettori volenterosi e bravi come editor di professione. Nel web ho trovato un bravo illustratore che ha fatto la copertina. Del libro ne ho fatto un volume cartaceo per gli affezionati alla cellulosa (che purtroppo devo far pagare, perché Lulu non è un ente di beneficenza e carta, stampa e spedizione costano), ma, soprattutto ho realizzato un e-book (in tutti i formati elettronici più diffusi) e lo REGALO con download gratuito.
    Perché i librai venderanno cipolle? Perché il futuro del libro è questo: e-book gratuiti che si ripagano solo con la pubblicità al loro interno e rapporto diretto autore-lettore, senza più il peso inutile di editori, distributori, venditori.

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    1. Se le catene dei grossi editori non vendessero più libri ma cipolle e patate a loro non cambierebbe nulla. Il libro in Italia per essere notato deve essere sponsorizzato economicamente. Ci sono editori a pagamento che fanno ridere. Un autore deve pagare per fare cosa? Alcuni chiedono 90 euro per ricevere un manoscritto e prendersi l’impiccio di leggerlo. Quello che mi sfugge è che se un editore è un editore deve leggere i manoscritti. E può farlo come meglio ritiene perché deve chiedere una tassa (tra l’altro così alta) di lettura? Se ritiene può pure leggere le prime due pagine o buttare il testo direttamente nel cestino leggendone il titolo… Certo sarebbe ridicolo, ma è a loro discrezione il modo di agire.

      Oggi è ben noto come arrivare a certi grossi editori pure pagando… ma questo è argomento per la prossima puntata sulle cipolle e patate. 😉

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      1. Ci sono editori che vivono alle spalle degli autori, che sono il loro mercato. Non gli interessano i lettori, quelli se li deve procurare l’autore. Vivono dei contributi e delle copie acquistate dagli autori stessi. Sono utili anche loro, perchè aiutano alcuni rari scrittori ad avere uno strumento per emergere e farsi vedere. Oggi però, con gli ebook, sarà più facile fare a meno di loro. Già con il print-on-demand le loro pretese si sono fatte più ragionevoli.

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    2. Ho scaricato il tuo e-book in ePub e ho visto che è stato creato convertendo un file word con Calibre. È ricco di errori generati dalla conversione (non mi riferisco al testo, ma a errori interni del formato ePub). Si dovrebbe evitare di farli con una conversione. Oppure poi fa vatta una verifica e una successiva correzione di errori.

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  3. Sarà più facile sempre se uno ha alle spalle un editor e dei lettori che ti dicono veramente cosa pensano senza remore e non tutti se lo possono permettere. Un editor non lavora gratis. Fosse anche un amico.
    Molte conoscenze… Anche un ufficio stampa fa comodo, conoscenze di marketing… insomma banale non è.
    Se fai una verifica… Esiste un’applicazione sviluppata apposta che segnala tutti problemi dell’ePub quando è costituito di parti che non rispettano lo standard. Per il software vedi tu.
    Poi ci vorrebbe un rientro sulla prima riga di ogni paragrafo… Almeno io preferisco così, poi magari tu hai scelto di non metterla apposta…

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