diario scrittorio: mercoledì, 14 marzo 2018

Quando mi capita di scrivere una storia, un romanzo, in particolare, all’inizio non ho idea di come esattamente evolveranno i personaggi, in quali scene si troveranno coinvolti. Ho solo un’idea che accompagna l’inizio della storia, un punto di climax, ovvero di massima tensione drammatica, e un finale.

Tutto ciò che lega le varie parti, i dialoghi, e tutto ciò che fa vivere il personaggio scena dopo scena, la sua storia pregressa, le decisioni che man mano prenderà, non mi sono note. Mi serve un po’ di tempo per familiarizzare con l’attore delle storia e con il suo modo di parlare. Se si tratta di una serie, invece, il personaggio già lo conosco, ma devo mettere in risalto qualcosa di lui che ancora non è stata evidenziata nei libri precedenti. Inoltre, devo familiarizzare con la storia anche se già conosco il personaggio.

Familiarizzare con la storia significa che le scene che scrivo devono essere affinate, cambiate, a volte cambiando anche una parola quando la scena in questione è stata vista già dieci volte. Tornare e ritornare su una scena permette di focalizzare su vari aspetti. Prima inizi a vedere i personaggi muoversi nell’ambientazione che magari all’inizio non esiste, e quindi compare il letto, il mobile, la porta del bagno, la doccia, metti dettagli su file che ti erano in mente ma che non avevi reso noti a chi legge perché eri concentrato sul dialogo.

Naturalmente non ti metti a descrivere in modo minuzioso la stanza, lo fai quel minimo per cui se un personaggio era seduto su un divano e poi si trova su un letto, almeno hai detto che si stava spostando, non destabilizzi il lettore che si chiede: “ma non stava sul divano? Ora parla di coperte. Mi sono perso?”.

Poi curi il dialogo. Giusto ieri ho tagliato diverse battute di un dialogo. Mi sono reso conto che la scena non ne voleva. Doveva essere silenziosa. Un paio di parole dette da uno dei due personaggi bastavano e avanzavano. Anche perché il dialogo scritto per quanto voleva essere divertente, era decisamente banale, tirato un po’ per i capelli.

Altre volte l’occhio cade sull’ultimo paragrafo scritto, o rivisto più volte i giorni precedenti, e subito individui una cosa fuori posto. Ci sono due parole che sono di troppo: “era restato in quella posizione per un po’ di secondi”. Ovvio che “di secondi” non serve. Non stiamo cronometrando, non siamo in una relazione di fisica calcolando il tempo di caduta di un grave.

Altre volte una correzione resta nella tua testa. Ti dici: “ma quella parola in quel capitolo… Se la cambiassi?”. Ci pensi, ci ripensi. Editi il capitolo cinque volte, vai avanti, ma senti sempre quella vocina in testa che ti dice: “vuoi fare un buon lavoro? Elimina quella parola”. Vai, elimini la parola e va bene, cioè inizia ad andare bene, perché poi la frase va riscritta, il concetto va espresso meglio, in modo anche più semplice.

Ci sono molti di questi momenti, finché il testo non sembrerà perfetto. Ma basta lasciarlo riposare anche solo una settimana e buttando lo sguardo a casaccio tra le righe come minimo troverai un paio di refusi benché fossi sicuro di averli tolti tutti.

E poi ci sono i momenti in cui ti trovi così immerso nella storia che inizia a venirti un magone quando senti che sono rimaste pochissime scene e un altro romanzo è bello e concluso. Non riesci a staccarti davvero dai personaggi, soprattutto perché sai che le ultime due scene ti spaccheranno l’anima. Non le vuoi scrivere, tanto hai da rivedere diversi capitoli dove trovi migliorie da fare, dialoghi da assottigliare, a volte paragrafi confusi che non può essere che abbia scritto tu.

Sono queste le cose che ti fanno pensare che sei un vero scrittore. Hai il controllo sulla tua storia, sui personaggi, sullo stile. Sai quali errori scovare, sai come rendere migliore e coerente ogni singola scena. Ti serve solo un po’ di tempo e coraggio per mettere a disposizione di tutti una storia che farà ridere, piangere, sospirare, sorridere, ma che alla fine hai scritto perché volevi vederla vivere in quel modo preciso. Sarà imperfetta agli occhi di qualcuno? Sì, ma non importa. Nulla è davvero perfetto.

Le parole confondono volume quattro è una storia coraggiosa che affronta il dolore e prova a sconfiggerlo, prova a guardare verso il futuro incerto di un amore che non può essere raccontato, perché scomodo, sbagliato, ma reale, di una storia inventata.

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