Cosa si impara da un cattivo romanzo

Foto di Harut Movsisyan da Pixabay

Quando si legge un romanzo, spesso non si fa caso a piccole imperfezioni, se un testo è piacevole, se è credibile, se i personaggi li sentiamo vicino a noi. È persino possibile che la storia ci resti in testa per un po’, che ci lasci qualcosa.

Da scrittori, se riusciamo a leggere il testo anche in maniera “tecnica”, è capace che impariamo qualcosa in più sulla gestione del punto di vista, sulla gestione ottimale delle sottotrame, su come mantenere l’attenzione del lettore, ecc…

Ma quando un testo è pieno zeppo di cose che non vanno?

Leggevo un romanzo in cui i personaggi annuiscono sempre, sorridono sempre, e lo fanno lievemente: “sorrisero lievemente”, “sorrisero brevemente”. Dopo un certo numero di pagine, appena vedi la parola “sorrisero”, ripeti ad alta voce: “lievemente”, e nel 90% dei casi trovi lo trovi.

In un testo pieno zeppo di questi avverbi, inizi a sentirti mancare l’aria. I personaggi non sono caratterizzati, non hanno una storia personale, niente ricordi, niente flashback, nessun elemento che ci permetta di legarci in qualche modo. Li vedi muoversi nella storia, e pure senza senso.

Quando l’azione sembra farsi un po’ più interessante, sai comunque che non moriranno e che non ci sarà nessun pericolo reale che li scalfirà, perché è uno di quei romanzi che si capisce sin dalle prime pagine che sarà a lieto fine.

I personaggi sono spinti verso uno scopo e, quando si raggiunge lo scopo, senza alcuna difficoltà, come dicevo, subito si conclude, si arronza il finale e finisce con un abbraccio e tutti vissero felici e contenti.

Dai romanzi ben scritti c’è la possibilità di imparare qualcosa, magari rileggendo il testo in modo più lento e riflessivo si colgono diverse sfumature. Ma dai romanzi scritti davvero male e pensati altrettanto, cosa si impara?

Si corre il rischio di imparare a scrivere male, oppure, se si riescono a notare tutti questi errori/orrori, da scrittore, ci si chiede se sono gli stessi errori che si fanno mentre si scrive.

Davanti a più di 500 avverbi che finiscono in “-mente”, con costruzioni sempre uguali, accostamenti identici tra verbo e avverbio, con personaggi che ogni pochi paragrafi ridono/sorridono/annuiscono si impara a eliminare tutti gli avverbi in “-mente”, si eliminano tutti i sorrisi, le risate, l’annuire dai propri scritti. O magari ci viene il terrore di far sorridere un personaggio, di farlo ridere o annuire, di usare qualche avverbio che finisce in “-mente”.

C’è addirittura un passaggio nel libro che ho letto dove l’autore specifica che annuirono per voler dire di sì. Certo, può pure capitare che uno annuisce in modo ironico per dire di no, ma è ovvio che quando si annuisce è perché si vuole dare per sottinteso il fatto che si sta dicendo di sì con un gesto del capo. Nel 99% dei casi. Perché specificare che “annuirono per voler dire sì”?

Ho letto tutto il testo perché volevo capire se almeno la storia, anche se viene inficiata al 100% da tutti questi problemi dovuti a una totale assenza di revisione/editing/correzione di bozze, aveva un qualcosa da dire. Ma non ce lo aveva perché il finale è reso approssimativo.

Da un libro scritto male si può imparare come NON si scrive un libro. Certo, lo si impara solo se questa cosa è evidente.

Trovare qualche avverbio che finisce in “-mente” non è un problema. Trovarne 500 magari sì, almeno per me.

Il fatto che non ci si riesce a legare ai personaggi perché non hanno ricordi, non si sa ricorrere a un flashback per definire meglio la storia personale, ti fa desiderare di caratterizzare meglio i tuoi personaggi. Di non pubblicare con fretta o magari di smettere di farlo perché potremmo finire per mettere in uno store un libro altrettanto orribile.

Ma alla fine è tutto un gusto personale anche davanti a evidenze così eccessive. Sì, perché libri con problemi del genere, e altri tipi di problemi, hanno anche vinto premi letterari famosi.

Poi c’è chi ti sfianca perché una foto di copertina che tu vedi come un’isola, non lo è. Puoi fare quanto di meglio ti riesce, ma ci sono limiti che non si superano mai e la gente è sempre pronta con il ditino a giudicare anche quando tutto è/sembra perfetto. Be’, se le cose sono fatte bene è difficile che succeda, però non ci si può fare maestri: succede e resti sempre impreparato. Per tanto, ho deciso di assentarmi dai social network per qualche mese, speriamo qualche anno, o per sempre.

Non mi sento di recensire il libro in cui ho trovato tutti questi problemi, facendone un lungo elenco per aiutare l’autore a migliorarsi, perché, alla fine, chi ha scritto un libro così non è interessato a un’opinione del genere. Non solo, ma io sono un autore. Mi nuocerebbe. Già lo so. In passato ho dovuto cancellare ben due recensioni da Amazon per aver motivato in modo preciso il fatto che i relativi romanzi non mi erano piaciuti. Potevano essere migliorati, ma pare non interessasse.

Non mi è mai capitato di leggere fino in fondo un testo illeggibile. Di solito lo abbandono verso il 20-25% della lettura.

Questa è la prima volta. La prossima, valuterò meglio, leggerò l’anteprima che Amazon ci mette a disposizione, e scarterò.

Ma è vero che da un cattivo libro si può imparare a scansare gli errori riconosciuti nel testo?

Mi è venuto il terrore per gli avverbi. Da ora in poi, appena ne incontrerò nel testo, li eliminerò del tutto o proverò a sostituirli con qualcosa di simile.

Ma non sono così convinto che leggendo libri cattivi si possa capire e scrivere meglio.

E poi a chi importa davvero se un libro è scritto o meno bene? Si legge poco, si legge anche di meno anno dopo anno, e non vedo in giro persone fare tante differenze o critiche se certi cattivi libri si leggono con una certa passione. Non è colpa di chi scrive male. O poco importa se è scritto bene o male. È davvero probabile che poi conti davvero solo la storia, e non il modo in cui si presenta la stessa. Il che potrebbe, forse, essere un vantaggio per tutti.

L’unica morale della favola è che scrivere è un brutto mestiere. È difficilissimo, è una perdita di tempo. Alla fine, se scrivi, finisci per fare sempre e solo quello, ma non tutti se ne rendono conto.

4 pensieri su “Cosa si impara da un cattivo romanzo

  1. annaecamilla

    Grazie un post esemplare. Un libro senza carattere, piatto da morire l’ho appena finito qualche giorno fa. La trama c’era ma non è riuscita, la scrittrice, a coinvolgermi neanche per una pagina. Ho finito il romanzo solo per curiosità. Sono d’accordo, alcuni libri vanno abbandonati dopo al massimo 30 pagine. Buona giornata🥰

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