Eccoci di nuovo al giorno 17. Sono passati undici mesi esatti da quando scrissi i primi paragrafi di quello che poi è diventato il work in progress del settimo volume della serie “Le parole confondono”. Non credo di aver scritto per undici mesi di seguito tutti i giorni.
Anzi, undici mesi fa, credo di aver abbozzato un paio di pagine e poi di essermi chiesto, i giorni a venire, se davvero volevo iniziare un nuovo romanzo o editare quello già concluso che tratta di tutt’altro e che non ho più editato. È finito, ma non l’ho più toccato. Non ho voglia.
Pensa e ripensa, rileggi quelle pagine, sistemale, rileggile e poi da due sono diventate, col tempo, di più. C’era un personaggio buttato per caso, non doveva nemmeno comparire, ma poi ha iniziato a interagire col protagonista, ho creato una piccola storia che li ha legati, ho parlato dei suoi problemi, di quando ne ha parlato al protagonista e quindi, attraverso di lui che ora il nostro Sergio è stato mostrato nella sua adolescenza, con la sua grande forza interiore, la sua generosità.
Un altro mese e sarà un anno. Ci sono momenti che mi dico che non ho più voglia di scrivere. Guardo il PC e scuoto la testa. Non ce la faccio. Non ce la faccio più a sopportare il tempo che passa e a non poter fare progetti anche banali, figurarsi a immaginare il momento in cui metterò la parola fine a una serie iniziata nel 2012. La cosa mi angoscia anche. Non vorrei mettere la parola fine a un bel nulla, ma devo essere realista, rendermi conto che dovrei forse provare a rilassarmi di più.
La storia che sto raccontando è perfettamente in tema con tutti i libri precedenti. Scrivo un paio di pagine e poi me le rileggo, le rileggo e le sistemo il giorno dopo, e quello dopo ancora, e quell’altro dopo ancora, poi penso a un verbo che ho usato in una frase quando l’ho riletto e corretto il giorno prima e mi dico, come se solo in quel momento ci avessi fatto caso, come se fossi ancora al PC a scrivere, che non va bene, devo usarne un altro. O magari penso a un capitolo in particolare, non lo so nemmeno io perché, e mi viene in mente che c’è una frase, una battuta di dialogo che forse va rivista.
Poi mi rivedo il personaggio davanti. Piange. No, togli quelle lacrime, fallo muovere a rilento, in modo svogliato, descrivi come si muove e suscita le emozioni del lettore che lo vede muoversi in quel modo come se il lettore gli fosse accanto e lo vedesse singhiozzare disperato, ma non farlo piangere. Sergio è un personaggio forte, magari piangerà prima o poi ma facciamolo quando è giunto al culmine, quando chiunque al suo posto lo potrebbe fare perché sta sopportando troppo.
Poi penso che non posso più controllare dal vivo se nella stazione metropolitana, che tanto mi piace, di Liverpool Street a Londra ci sono o meno le scale mobili. Non me lo ricordo, forse ci sono, forse no. Parlo del tragitto dal binario ai tornelli di uscita. Penso di sì, ma evitiamo di inserire un dettaglio di cui non ricordo con certezza e che non potrò mai più verificare. Non è molto importante.
A febbraio dell’anno scorso avevo prenotato per maggio, poi qualche giorno dopo si è scatenato un casino in tutto il mondo. Salta la prenotazione. Mi consigliano solo di rimandare. Un amico autoeditore come me mi consiglia di provare a fine anno, per Capodanno 2020, perché se per allora non sarà tutto finito saremo tutti morti, lo faccio, ma a settembre 2020 cancellano il volo di andata, le cose si complicano ancora. Cancello la prenotazione e non ci rimetto nulla, per fortuna.
Capodanno 2020 è passato ma le cose peggiorano solo.
Non è che me l’ha ordinato il medico di andare a Londra, ma per me sono momenti di puro rilassamento perché sono in una terra e in una città che sento mie, che conosco abbastanza bene e che vorrei conoscere sempre di più, perché è ovvio che di Londra so pochissimo, ogni volta devo scoprire nuovi luoghi, provare a fare cose diverse, come l’anno in cui partecipai a due eventi del BAFTA vicino Piccadilly. Non avevo la più pallida idea che lì vicino ci fosse il BAFTA, quell’associazione che ha premiato tante serie TV e film.
Prima o poi finirò questo romanzo e, se ci riesco, chissà se avrò la voglia di pubblicarlo, considerando che ci sarà un gran lavoro da fare. Lo faccio ogni volta, non come quelli che finito di leggere quattro parole in croce, fanno una rilettura di dieci giorni, o di un giorno o non rileggono nemmeno, e poi mettono il file .doc su Amazon che poi provvede a trasformarlo alla meglio in un .mobi.
Chissà. Chissà. Chissà.