L’implicazione del successo

Foto di Emiliano Arano

Come dicevo nello scorso articolo, Emily Dickinson, grande poetessa americana, ottenne il successo dopo la morte. Questa artista aveva il gran desiderio di scrivere dei suoi pensieri e di ciò che provava mettendo sempre tutto nero su bianco su piccoli foglietti e, alla fine, dice una cosa vera (almeno nella serie TV su AppleTV+), cioè che la scrittura serve a se stessi per primi e non si deve inseguire un pubblico a tutti i costi, per conquistarlo.

Qualcuno dirà che allora si sta scrivendo un diario, non una opera che qualcuno oltre noi può apprezzare. No, si parla dell’impegno della scrittura, anche se si è precisi e intransigenti con se stessi non è detto che qualcuno vorrà leggere ciò che di noi verrà pubblicato. Questo, però, non toglie che la scrittura è, e resterà, impegnativa.

Il pubblico può succedere di trovarlo sulla nostra stessa lunghezza d’onda, ma non sempre. Si scrive per stare bene con se stessi, per riordinare idee e pensieri, e per altro. Ognuno hai i suoi motivi. Inoltre non esiste un lettore ideale (o più lettori ideali) per cui scrivere. Chi parla dell’esistenza di questo mitologico personaggio sta raccontando una gran fandonia, a meno che non si riferisca a se stesso o a una persona molto vicina a sé, come una moglie o un marito.

E, infatti, penso che se si scrivesse per tutti gli altri ho i miei dubbi lo si potrebbe davvero fare bene e sempre, nel senso di scrivere con il preciso scopo di ricevere continue soddisfazioni e stimoli che ci spingano ad andare avanti senza costanti e ripetitivi ripensamenti sul mollare tutto, come chiunque abbia mai scritto provi. Il lavoro di scrittura nella gran parte dei casi resta sconosciuto ai più, ovviamente non tutto. Tutto, poco, niente, tantissimo. Alla fine, ci si ritrova spesso a pensare ai tanti sacrifici e alle rinunce che quasi mai ripagano il tempo impiegato a scrivere sottratto ad altro.

Alla fine per trovare un pubblico, un vasto pubblico, bisogna annullarsi, si devono soddisfare bisogni e necessità di tutti, ideare la trama e i personaggi in modo da colpire tutto il pubblico, far agire e parlare i personaggi in modo a noi non consono, per attrarre persone che non ci penserebbero due secondi a mollarci se a loro non garba (il prezzo, la copertina, il titolo, la reazione di un personaggio, un finale che non corrisponde a quello voluto, la tematica affrontata), e senza alcun preavviso, che si tratti di un lettore o di un beta lettore. I beta lettori oggi ci sono e domani mattina ti mollano senza pensare di dirtelo. Spariscono come se fossero salpati su una nave che, arrivata nel Triangolo delle Bermuda, scompare e non viene più ritrovata.

Il pubblico magari arriva e magari no. La scrittura non è un esercizio, non è come applicare un algoritmo informatico e risolvere un problema. Se ci si fossilizza dietro l’idea di scrivere per un vasto pubblico (perché altrimenti non ha senso farlo) in un attimo si perde la libertà, la propria creatività, la fiducia in se stessi, si diventa schiavi del continuo desiderio di approvazione, di una necessità impellente di essere letti da pochi, da tutti e a tutti i costi, e impossibile da gestire. Il più delle volte ci bracca l’insicurezza, il senso di praticità ci spinge a chiederci se non si poteva fare ben altro, invece di perdere tempo a scrivere. Sfido qualsiasi buono scrittore a negarlo.

La scrittura non deve essere ansia, non deve essere ricerca ossessiva di approvazione, ripeto. Spesso i lettori nemmeno sanno cosa vogliono da una storia, quando ne restano molto colpiti si ricevono delle recensioni veramente bellissime, ma sono così dannatamente rare. Entrare in sintonia con l’animo nobile di un lettore, di una lettrice, è difficilissimo.

E nemmeno è possibile scrivere per tutti. Ci sono gusti diversi, e spesso non ci sono gusti, si va per il nome dell’autore, il numero e i voti delle recensioni, la fama della casa editrice, il titolo, l’immagine della copertina. Questo spinge verso l’acquisto di un romanzo, di un libro.

Se pensiamo a serie televisive, per esempio, il successo di “La casa di carta”, la serie spagnola, non è stato immediato. Coi primi episodi non riuscivano ad avere un pubblico, hanno rischiato di chiudere i battenti, poi è arrivato un pubblico unico. La storia è fantastica, commovente, ci sono molti colpi di scena che ti incollano agli episodi. È scritta da gente di talento molto attenta a dettagli e allo sviluppo dei personaggi che ha curato una idea e dei personaggi.

Ma torniamo alla narrativa che resta in un libro di carta, in un e-book. C’è anche chi scrive solo per il pubblico, studiandosi cosa viene letto di più, il tipo di storia specifico, ma sono costruzioni fatte con uno scopo preciso, ovvero fare soldi col minimo sforzo, producendo qualcosa che ha degli schemi specifici fissi e prevedibili. In teoria si può istruire una IA e scrivere il romanzo con una storia che “si porta in questo momento”. I romanzi di alcune scuole di scrittura creativa sono tutti uguali, per esempio.

Scrivere senza piegarsi alle dinamiche delle grandi produzioni, del best seller a tutti i costi, crea buone storie, inoltre, il primo soggetto da soddisfare è se stesso. Qualcuno scriverebbe mai qualcosa che detesta profondamente, con cui non è a suo agio fino in fondo? Io non penso proprio. Altro conto poi è, finito il romanzo, il racconto, farne le dovute revisioni e riscritture per accedere alla pubblicazione.

Io non credo avrò successo, perché non seguo le masse o gli editori. Non avrò successo in vita e nemmeno dopo la mia morte. Io scrivo perché mi piace, quando ho tempo e voglia. Spesso mi rilassa.

Ma capisco bene che oggi non siamo più nell’Ottocento della Dickinson, dove pochi scrivevano. Oggi siamo in una epoca dove è la moda del momento a condizionare tutto: trasmissioni televisive, canzoni, testi narrativi, scelte politiche.

Oggi non vedrete mai un cantante o una cantante bruttissima, ma che ha una voce che spacca, in televisione. Una cantante che non ha talento, in mutande, però sì. E se non sei in tivù nemmeno esisti, diceva Vasco Rossi anticipando tutti quanti di decenni.

In sintesi

Bisognerebbe scrivere perché piace e non per compiacere gli altri, e a tutti i costi. Si scrive per creare una propria voce e poi vedere come va, cosa succede, e mai lasciarsi prendere dall’ansia del non essere riusciti ad avere successo, perché il 95% non ha successo e il 95% non si arricchisce.

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