Come succede ogni anno, anche stavolta ho dimenticato l’arrivo della primavera di venerdì scorso. Il 21 marzo è una data molto importante in due miei romanzi, “Le parole confondono”, il primo da cui la serie prende il nome, e il settimo, ovvero “Quel minuto prima di te”, che si conclude proprio nel giorno 21 marzo, nello specifico 21 marzo 2019.
Il vero bisogno di approvazione, per uno scrittore, però, arriva dal lettore. È il lettore a rappresentare l’attore ultimo della catena narrativa. Tutta l’attenzione e il lavoro del mondo fatto sul testo per poi arrivare alla pubblicazione può rappresentare anche uno sforzo infinito, ma valere nulla se non si finisce nelle mani del lettore, della sua attenzione, per il fatto che lui o lei lascerà un “voto” o, meglio ancora, una recensione ben fatta, o ne parlerà agli amici, in un blog, su una rete sociale, da qualche parte. Se non accede, il lavoro fatto dall’autore è solo frustrante e inutile. C’è un bisogno di approvazione fortissimo quando si è appena pubblicato un libro, soprattutto perché non si sa se si è fatto bene a pubblicare, se era un testo pronto, rosolato nel modo giusto, se era crudo o se, invece, è venuto fuori addirittura bruciato. Come fai a saperlo se nessuno ce lo dice? Se nessuno nota la nostra nuova creatura?
L’opinione per un proprio scritto si può ottenere da chiunque, non necessariamente da un editore, anche perché un editore riceve più manoscritti di quelli che può leggere e, spesso, se si sono dedicati a dare un occhio alla sinossi già è tanto, in generale gli allegati dei messaggi di posta elettronica contenenti i romanzi – o i plichi (alcuni richiedono ancora una stampa cartacea dell’intero testo) – non vengono nemmeno aperti, ma cestinati direttamente.
Non faccio una critica. Descrivo solo il modo in cui si opera.
Non ho molto tempo, ma mi devo sforzare. Voglio mettere la parola fine all’ottavo volume della serie “Le parole confondono”. Mi sto concentrando sull’ultimo capito scritto fino a questo momento. Lo sto raffinando, asciugando, rimuovendo quelle tipiche frasi che mi darebbero fastidio incontrate in romanzi non miei. Devo mantenere un po’ di sobrietà e stile narrativo impeccabile, anche perché per quanto uno risulti attento è chiaro che la concentrazione poi cala e non sempre ciò che ieri sera era così chiaro ed evidente lo risulta sempre in assoluto ogni giorno.
Il mese di giugno del 2023 vedevo pubblicare “Quel minuto prima di te”, una delle storie più difficili e articolate che abbia mai scritto, un romanzo che mi ha tenuto impegnato per 3 anni e 3 mesi, dal 17 marzo 2020 al 4 giugno 2023. Risulta il settimo volume della saga familiare “Le parole confondono”, ma che può assolutamente essere letto senza avere idea dei sei volumi precedenti.
“Quel minuto prima di te” è una storia ricca di trama e di personaggi, di luoghi, di Londra, di Sorrento, di vita, di scelte difficili, di adolescenza, di vita adulta. Un libro di circa 300’000 parole, roba che una casa editrice forse pubblica in tutta la sua vita e poi chiude. Materiale per almeno 10 romanzi brevi ma intensi, come si portano oggi per strappare bei soldi ai lettori in maniera molto meno complicata riducendo al minimo sforzo l’editing e la quantità di carta stampata e con caratteri belli grandi. Di solito sulla scia di nomi autorevoli che hanno venduto tantissimo e hanno fatto anche soldi al botteghino con la relativa trasposizione cinematografica o con la realizzazione di una serie in otto episodi per Netflix.
Molti, nel 2025, saranno dell’idea che il web è il posto dove si va su un ben preciso motore di ricerca (il quale ci profila) e tramite esso si cercano le cose sul web. Come se non esistessero alternative, o “luoghi” dove arrivare direttamente senza intermediari. Come se il web fosse noto solo a tale motore di ricerca e basta. Conosco persone che per non scrivere l’indirizzo di siti come Facebook, lo cercano su Google e fanno clic sul link del primo risultato ottenuto arrivando così a destinazione. E credono davvero che sia il metodo più semplice. E poi da Facebook si cercano altre cose, notizie. Il che fa sorridere. Visto che Facebook non crea notizie ma preleva i vostri dai personali per venderseli e far allenare le loro IA.
Nel mentre cerco di mettere ordine nella mia vita, non riuscendoci affatto, mi ritrovo a pensare all’arte di raccontare una storia. Sto guardando delle serie TV italiane che per la prima volta mi stanno prendendo molto. In genere ho una pessima opinione delle serie TV italiane, ma ho sempre pensato che se avessero voluto farle bene ci sarebbero anche potuti riuscire e, infatti, Mare Fuori e Un Professore mi hanno preso molto. Mare Fuori tantissimo. È ambientata in luoghi che conosco bene.
Tornare a scrivere per il blog non è sempre possibile. A volte perché sono troppe le cose che vorrei dire. Troppe, ma davvero? Quando mi interrogo e ci rifletto di più, penso sia meglio relegare certe idee in un libro di fantascienza (che mai verrà completato), oppure stare zitto e basta. C’è tanta gente che parla sempre troppo, meglio fare astinenza di parole inutili, pur sempre non riuscendo.
A parte questa riflessione, i blog dovrebbero scrivere di qualcosa di interessante, ma oggi come oggi è diventato difficile interessare. Il gradimento del pubblico si è spostato sui video brevi di Tik Tok o di Instagram, oppure a leggere articoli veloci di 100 parole massimo.
Be’, solo quelle usate fino a questo punto sono 123.
I dettagli si crede siano irrilevanti. Sono dettagli, per l’appunto, no? Roba insignificante. “Siamo più pratici, facciamo le cose con sentimento e lasciamo i dettagli ai precisini”, direbbe qualcuno.
I particolari sono importanti, sono quelli che fanno la differenza. Servono per costruirci sopra una storia narrata in modo decente e coerente. Certo, non sempre vanno mostrati al lettore. La cosa importante è che chi scrive li abbia in mente in modo chiaro.
A volte non basta una mappa vista sul computer per descrivere una strada, per ricavare il nome di un locale, per avere idea dell’ambientazione in cui è calata la narrazione, a volte è necessario conoscere il luogo in modo personale, esserci passato diverse volte, aver annotato i particolari, averne visto i cambiamenti nel tempo. Soprattutto se i personaggi del romanzo dovranno passare in quel tratto in diverse occasioni, oppure se vivono in una certa città che non è quella in cui si trova l’autore.
A volte, paradossalmente, faccio dei viaggi credo più per assimilare i dettagli che per il viaggio in sé. Pazzesco, no?