
Le parole confondono ha ricevuto l’ennesimo apprezzamento.
Una casa editrice digitale avrebbe voluto pubblicarlo. Ma io ho detto di no.
La proposta è seria. Non scherzo.
Mi è stato chiesto il testo e l’ho mandato. Di mia iniziativa non invio nulla a nessun editore. Se interessa io sto qua.
L’email diceva:
«Salve Giovanni,
la redazione ha letto e apprezzato il suo testo. Vorremmo pubblicarlo con il nostro marchio. Se è d’accordo le invierei la bozza di contratto, anche se potrebbe passare personalmente in sede. Mi faccia sapere.»
Ma ho rifiutato senza nemmeno farmi mandare la bozza del contratto. Non si trattava assolutamente di un editore a pagamento. Ne sono sicurissimo.
Ho ringraziato, fatto gli auguri all’editore e non ricevuto altro contatto. In altro momento non avrei nemmeno risposto, ma non potevo non rispondere qualcosa.
Perché?
Sono un selfpublisher. Nonché editore.
Sono un indie. Non un indiano chiuso in una riserva o uno scrittore sconosciuto, ma un indie. Uno scrittore indipendente e sono editore di me stesso.
Sono un selfpublisher non tanto in auge con il concetto di marketing, ma sono qua.