il selfpublishing è la tortuosa via del…

(C) Jody Sticca / Flick: C'è chi aspetta la pioggia (CC)
(C) Jody Sticca / Flick: C’è chi aspetta la pioggia (CC)

Nulla! Avete presente la “Storia infinita” e il fantomatico Nulla che divora tutto?

Il selfpublishing è la risposta a una pessima editoria, a dei tempi lunghi, e alla spocchia di molti editori che fanno solo perdere tempo e che, però, loro, tempo non ne vogliono perdere.

Ho letto articoli, su articoli, su articoli sul selfpublishing, sull’editoria, scritti da editori, da editor, da gente che bazzica nel mondo del self-publishing, ma che non ha letto nemmeno un solo libro autoprodotto e che pretende di forse fare una classifica degli autori selfpublisher più bravi.

Spesso si parla del Nulla in generale. Gli articoli pieni di strafalcioni e di notizie inesatte invadono la Terra, ma quando si parla di self-publishing si va anche oltre.

Alla fine si è capito che chi vuol pubblicare non ha più bisogno degli editori. Chi vuole pubblicare da sé ha bisogno di tempo, di energie e di serenità e, una volta, fatti tutti i compiti, dopo aver letto montagne di libri… se non leggi che accidenti ti appresti a scrivere e, mai si voglia, a pubblicare? LM. Leva Mano. Lascia perdere. Devi leggere tantissimo, non puoi non farlo, altrimenti spiegami cosa accidenti pretendi di scrivere. E leggi roba buona.

Insomma, dopo tanto sforzo, che non sembra mai troppo anche quando è tale, pubblichi. E amen. È finito tutto lì. Perché non succede nulla.

Allora ti dici: contatto qualche testata giornalistica, mando un comunicato stampa. LM. Perdi tempo. Non sei un giornalista e nemmeno un autore di una grande casa editrice. I giornalisti parlano solo dei grandi editori e, anche in quel caso, hanno la fila dietro la porta, non sanno quale del 1’547’892 libri che pubblica la singola casa editrice più importante d’Italia in un anno devono recensire senza avere letto. Servirebbe una redazione di 150 persone che si legga libri su libri su libri per fare recensioni veritiere di cose che poi piacciono a loro. Serve loro tempo e denaro per fare ciò.

Parlavo con una agenzia di promozione che mi diceva che se non hai la conoscenza con il giornale, non pubblicheranno nemmeno il più piccolo trafiletto sul tuo romanzo autopubblicato. Io aggiungo, oppure paga profumatamente. Quanto? 500 euro per un solo giorno su una piccola testata locale e sette giorni sul loro sito online, che poi, con i software per i browser che eliminano la pubblicità dal sito, nessuno vedrà la pubblicità del tuo ebook. Ma non è solo questo, diciamocela tutta. Se NON sei un grosso editore, ha senso farti pubblicità in questo modo? Ovviamente no. Perché i 500 euro non li recuperi assolutamente. Facile che non si venda nemmeno una copia.

Quando pubblicai “Le parole confondono” mandai 200 email a redazioni piccole e grandi in tutta Italia e solo una microscopica testata solo on-line della mia zona mi rispose e pubblicò sul proprio sito il comunicato stampa.

Il ragionamento mi porta a pensare che se tutti volessero vedere pubblicati riferimenti alle uscite dei propri libri i giornali dovrebbero avere almeno 15 pagine fitte con tutti i libri usciti. Si opera un filtro allora, ma che filtro? Il più semplice del mondo: scarta gli esaltati autopubblicati e vedi qualche autore di casa editrice famosa. Gli spazi pubblicitari hanno un costo e quindi se vuoi vederti anche solo un giorno su un giornale cartaceo devi pagare, a meno che tu non conosca il direttore di una piccola testata della tua zona che ha già uno spazio recensioni. Gli parli di persona, lo incontri e lui si potrebbe prendere l’onere di darti una mano magari o gratis o per una modica cifra, per una cena, non lo so. Magari se hai avuto un buon successo di vendite è capace che ti stanno a sentire per davvero, ma se non hai in qualche modo bucato lo “schermo”, che succede?

Una casa editrice della mia zona ha amici giornalisti e, come è ben chiaro, non ci mettono nulla ad avere un trafiletto di loro pubblicazioni recensite o che comunque se ne parli nell’edizione del giorno dopo la telefonata. È così che il mondo dell’editoria funziona. Il rapporto Editore/Giornalista è fondamentale. Prima di aprire una casa editrice devi coltivare i rapporti con i giornali, magari con quelli a distribuzione nazionale che è meglio ancora, anche se abbastanza difficile. Per me di sicuro. Se avessi un amico giornalista anche io ne approfitterei, arrivato a un certo punto. Di base non approfitto mai di nessuno e se qualcuno sa che scrivo non gli parlo mai dei miei libri e se mi chiede dei miei libri provo a deviare il discorso. Non mi trovo a mio agio a pavoneggiarmi. Anche se dalle mie parole si direbbe il contrario. Chi mi conosce di persona sa quando sia chiuso e poco propenso a essere messo al centro dell’attenzione.

Il problema è sempre la visibilità e la notorietà. Sei famoso? Allora molto probabilmente avrai ascolto. Non lo sei? Hai pubblicato per un grande editore? Sì, allora sarà pensiero del tuo editore farti promozione presso riviste, giornali, trasmissioni televisive, se ritiene.

Sei un autopubblicato? Dove ti avvii? Scusi, ma io ho scritto un bel libro… Sì, come no? E, d’altra parte, è vero. Si scrivono tanti di quei libri, ma come li trovi, che valore hanno, chi stabilisce il valore?

I lettori vogliono leggere in cartaceo, trovarti su una bella pila enorme da Feltrinelli, da Mondadori Store, da GiuntiAlPunto. E sappiamo benissimo che un autore che si produce da solo lì non ci arriva!

Poi tra i tuoi “colleghi” selfpublisher c’è chi scrive davvero male, be’, ma che cambia con gli editori? Cambia che la gente se lo ricorda solo nel caso di selfpublisher, per gli editori si trovano tutte le giustificazioni di questo mondo. E se ne trovano tantissime… Hai voglia!

Morale della favola? Da selfpublisher sarai isolato. Poche copie, pochissimi lettori disposti a capirti e a recensirti. La voglia di continuare va su è giù come un termometro impazzito.

Non solo sarai isolato, ma sarai puntato a vita da tutti.

Sì? Ok, ma io me ne frego. Non ero nessuno prima, non sarò nessuno dopo, ma io scrivo. Discretamente, non pretendo nulla da nessuno. Non volete leggere? Non leggete. Non volete leggere le mie storie? Va benissimo. Fate ciò che volete. Io non posso davvero smettere di scrivere e, quando mi viene bene, di autopubblicarmi. Un giorno magari non farò più nulla di tutto ciò, perché il termometro impazzito non risalirà. Pretenderò attenzione.

Ricorderò ogni singola bella parola dei lettori che sono passati (Annalaura, Marco 1, Marco 2, Marina, Carla, ecc…) e hanno lasciato la loro traccia, il resto è incerto. La battaglia è aperta. Chi vincerà? Sempre i soliti? Può essere.

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26 pensieri su “il selfpublishing è la tortuosa via del…

  1. Stefano

    Scusa ma non sono d’accordo.

    Parli di pubblicità e di promozione come se quello fosse l’unico modo di promuovere i tuoi libri. No, non è l’unico modo e soprattutto è il modo sbagliato per il self publisher. Secondo me fai riferimento ai lettori sbagliati. Chi legge autori indipendenti difficilmente è un lettore passivo che compra un libro perché ha visto la pubblicità o ha visto il romanzo in vetrina da Feltrinelli. Figuriamoci il trafiletto sul giornale. Magari quel lettore è più facile raggiungerlo con la recensione sul blog letterario. Quel lettore, quello che legge autori indipendenti, è uno a cui non va di leggere le stesse cose che trova in libreria. È un lettore che spulcia, cerca, si informa. Dialoga. Va sul blog dell’autore e ci parla. Alla pari. E se l’autore gli piace va a comprarsi il libro. Di solito l’ebook, perché è un lettore più portato ad acquistare digitale, non cartaceo.

    Se sei un indipendente, cambia prospettiva. Lascia stare i comunicati stampa e la pubblicità. I tuoi lettori non vogliono ricevere le cose dall’alto. Crea delle discussioni, prima. Discussioni interessanti a proposito di quello che ti piace e di quello di cui scrivi. Poi parla anche dei tuoi libri. Chi è interessato li leggerà e li apprezzerà anche di più di chi è passato per l’annuncio pubblicitario.

    E non sarai solo. Nella mia cortissima e irrilevante esperienza come autore c’è proprio una cosa che posso affermare: non sono mai stato solo. I lettori, gli altri autori. Tante amicizie, contatti, tante chiacchierate portate avanti anche al di fuori della pubblicazione. Cosa c’è di più bello? Certo, se vuoi migliaia di fan o l’attenzione della stampa o le interviste in tv allora forse sei fuori strada. Ma davvero è quello che vuoi?

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    1. Io non saprei nemmeno cosa indossare per una intervista TV a parte che ho sempre visto con molto poco piacere chi lo faceva e poi erano sempre gli stessi personaggi. Non è questo quello che voglio, ma un autore che vende a zuffune segue la mondanità e ha conoscenze ovunque. Non ho mai saputo rivendermi, nel senso di farmi conoscere e ci conviverò finché un giorno poi sparirò del tutto 🙂 conosco autori indipendenti che poi tanto indipendenti non lo sono o non più

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  2. Finire sui giornali locali non fa vendere praticamente nulla, invece se parlano di te un giorno in una testata nazionale hai un picco di vendite e poi muore lì. Ma sai bene che i picchi isolati non servono. La pubblicità in generale fa vendere i libri solo se è costante, tutti i giorni, martellante per settimane e mesi. Appena viene meno, vengono meno le vendite, a meno che l’immagine dell’autore non abbia acquistato valore.
    La chiave per un successo duraturo è far entrare l’autore nel cuore delle persone.
    Come self-publisher possiamo sperare di riuscirci in qualche altro modo, perché la pubblicità martellante semplicemente non possiamo permettercela ed è comunque un’attività a perdere nell’immediato.

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    1. Lo so. Spesso non ci sono formule magiche ma che il selfpublisher sia detestato da tutti in genere è vero. Sarà perché in alcuni casi si osa davvero sfidare il sistema editoriale non che sia vero in generale e non che questo mi possa aiutare in chissà qual modo però è sotto gli occhi di tutti.

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      1. Giovanni: Il self-publisher è detestato da chi? Da una parte dell’editoria tradizionale (non tutta, visto che molta editoria tradizionale fa scouting presso i self-publisher o comunque con i self-publisher ci collabora) e soprattutto dalle figure che ci girano intorno senza farne parte veramente.
        Ma un bel chissenefrega? 🙂

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  3. Marco Amato

    Purtroppo l’editoria, intendo tutti gli attori, dagli editori agli scrittori pubblicati e in self, è un mondo estremamente complesso.
    Non è un paradiso per nessuno. Editori devono vendere per far quadrare i conti altrimenti si chiude. Scrittori che non trovano pubblicazione, chi la trova ed è come se non avesse pubblicato, chi vende poco, chi resta anonimo anche col grande editore. Il self è una nuova opportunità, ma è una strada pure difficile.
    In una realtà dove a vivere di scrittura sono soltanto una decina su svariate di migliaia di persone. E per vivere di scrittura parliamo non di ricchezza, ma almeno di 1500 euro al mese per anni, ecco, che non bisogna stupirsi di niente.
    Lo scenario è desolante per sua stessa natura.
    L’unica differenza reale fra editore e scrittore indie è scegliere il proprio destino. Se avere un nume tutelare che faccia le cose per nostro conto, mentre pensa anche a tantissimi altri e noi siamo solo un numero, oppure fare da sé e costruire un percorso.
    A me le recensioni dai giornali interesserebbero poco e nulla. Quanti ancora leggono i giornali e quanti di coloro che li leggono sono interessati ai libri. Quello è un mondo in declino che vive ancora di autoreferenzialità.
    Il mondo è cambiato e il baricentro dell’incontro lettore/libro si è atomizzato, si trova ovunque a dosi differenti.

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    1. In effetti mi sono focalizzato su elementi vecchi 🙂 i giornali. In effetti pochi selfpublisher ce la fanno. Però più che farcela o no conta quanto si è soddisfatti forse io lo sono poco ma l’articolo era in genere perché servirebbe un romanzo sull’editoria e sul selfpublishing o forse una trilogia per capire e forse lo stesso non si capirebbe. Chissà che non arrivi dalla mia penna e chissà che non mi ci diverta. Chissà.

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  4. Post molto corretto e condivisibile. La strada dei comunicati stampa non l’ho mai provata, considerandola a priori inutile, ma quanto riferisci in merito mi pare più che credibile. Personalmente ho pubblicato con un medio editore, poi ho voluto provare il self-publishing. Il risultato è stato lo stesso: qualche centinaia di copie e nulla più. Non c’è dubbio: per diventare famosi bisogna… essere famosi. Il solo editore buono è quello grande, ma questo non basta, perché bisogna anche che ti consideri il suo autore di punta, altrimenti su di te investe come un piccolo editore o giù di lì, ovvero nulla. Oppure mettiamoci l’anima in pace e accettiamo di scrivere solo per il piacere di scrivere e per i nostri pochi affezionati lettori e allora molto meglio autopubblicarsi, almeno siamo liberi di fare le cose come ci piace a noi, di correggere il libro e rieditarlo anche ogni mese, di metterci la copertina che preferiamo, di lasciarci quei brani orrendi che il nostro editor non sopporto ma che noi amiamo tanto. A questo serve il self-publishing ed è una buona cosa, ma non certo a farci vendere migliaia di copie. Come si fa a farsi conoscere? Per raggiungere il nostro centinaio di lettori, quello che dà un senso al nostro autopublbicarci non servono certo nè i giornali, né le TV, che come dici non ci considerano di certo, ma far parte di gruppi letterari attivi. Intendo soprattutto quelli in rete, dato che quelli “fisici” sono troppo piccoli. Gruppi formati da gente che legge abitualmente autori minori (io sono da decenni uno di questi, ma come me ce ne sono migliaia). Tanto per dirne una fatevi un po’ un giro su anobii.

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    1. Be’, in realtà il self-publishing fa vendere eccome migliaia di copie. Non a tutti, chiaro, ma sicuramente a più autori rispetto a quelli della piccola editoria. Il problema è che non lo fa in maniera continuativa, se non riusciamo a sfruttare il momento buono. Ci vuole anche fortuna, come in tutte le cose, ma dipende da noi più di quanto non accada nell’editoria tradizionale, perché siano noi ad avere il controllo..

      Anobii era ottimo nei primi anni, ma poi è rimasto indietro. Il suo essere in mano a Mondadori, con la concomitante impossibilità di inserire degli ebook senza ISBN (per quanto avere un ISBN sia comunque consigliato), lo rende uno strumento inadatto al self-publisher.

      Sul discorso dei giornali, è ovvio che non ci si può aspettare nulla, come da TUTTE le cose che facciamo, se prese singolarmente. Il nulla, il risultato pari è zero è la normalità. Ma allo stesso tempo fare un comunicato stampa e inviarlo non costa nulla. Il punto è che il solo apparire sui giornali non fa vendere i libri in maniera duratura. Bisognerebbe finirci almeno una volta alla settimana, per anni. 🙂

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      1. Sì, le campagne stampa sono efficaci solo se martellanti. Quanto all’ISBN è molto facile e gratuito averlo anche per il self-publishing (per esempio con Lulu). Su anobii in realtà ci sono numerosi libri censiti senza ISBN, basti pensare a tutti quelli vecchi, stampati prima dell’istituzione del codice.

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      2. No, Carlo, come ho scritto sopra, sto parlando di ebook. Anobii non accetta ebook senza ISBN.
        Per pubblicare un ebook su Amazon KDP non serve l’ISBN, ma se non lo usi non puoi inserire l’ebook su Anobii (lo fanno di proposito per escludere il più possibile gli ebook dei self-publisher dalla piattaforma). Conviene in ogni caso acquistarlo, per avere l’IVA agevolata al 4% invece che al 22% (solo in Italia), ma non certo dall’agenzia ISBN italiana che chiede 80 euro + IVA per un ISBN se non hai la partita IVA. Si può acquistare all’estero, mentre non si può usare un ISBN gratuito preso da altre piattaforme.
        In generale, quando si parla di self-publishing, si parla di ebook. Il mercato cartaceo del self-publishing è insignificante, perché non possiamo competere con i prezzi degli editori tradizionali e il margine di guadagno assoluto per copia è più basso (a meno che non fai dei prezzi elevati, ma così non vendi nulla).

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      3. In realtà c’è un trucchetto molto semplice: fai anche un cartaceo e prendi l’ISBN per quello! Certo non è “specifico” dell’ebook, ma così puoi caricare il titolo! Non sarà da catalogatori puristi, ma funziona.

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      4. Utilizzare l’ISBN di proprietà di un’altra piattaforma (addirittura quello di un cartaceo) per un’edizione ebook pubblicata da te su Amazon è il modo migliore per rischiare di essere bannati a vita da tale piattaforma (e magari pure da Amazon).
        Al di là di questo, usare l’ISBN di un cartaceo per un ebook è da dilettanti. Se si vuole fare i self-publisher, bisogna comportarsi da editori e rispettare le regole dell’editoria.

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