
Scrivere di tematiche difficili in un romanzo è molto più che difficile, è quasi impossibile se si vuol fare un buon lavoro. Chiunque può accennare tematiche difficili: alcolismo, stupro, droga, violenza, omosessualità, ecc… Le può accennare uscendosene con gli stereotipi più stereotipi del mondo.
Cosa si va ad aggiungere a quanto già detto da altri con un romanzo quando si accenna appena all’argomento, ma non si scende nel profondo? Nulla, direi. La tematica va approfondita. Ci sono persone che “trattano un tema” e lo fanno malissimo, lo accennano, e magari pubblicano con un grande editore e solo per aver trattato con tanta sufficienza un tema, oppure per aver confuso un tema con il concetto di fiction/narrativa stesso sentono di aver fatto una gran cosa.
Come il tema dell’omosessualità trattato da un autore di un testo diventato fiction. Era davvero più che imbarazzante il modo in cui era portata avanti la questione e il modo in cui è scritto il “romanzo” (in realtà novella). Un testo con più di 600 puntini sospensivi in 100 pagine, ma quella era solo il problema più evidente.
Non è che servano 1000 pagine per parlare di un tema. Ne bastano anche 100 se si fa nel modo giusto. Ma qual è il modo giusto? L’omosessualità affrontata in “Call me by your name” di André Aciman è il modo giusto. Perfetto, direi. Anche perché è un romanzo che può leggere chiunque. Leggero, ma allo stesso tempo profondo, malinconico, drammatico, commovente.
Perché parlo di questa cosa? Svelo subito l’arcano. Mi sto dannando per un tema complicato (ma chi cavolo me l’ha fatto fare?) e delicatissimo nel quarto capitolo della mia amata serie “Le parole confondono“.
Mi chiedo un giorno sì e pure l’altro con quanta verità ci sto lavorando sopra e se non ho fatto una brutta fine. Non lo so. Sono arrivato al punto che mi risulta doloroso e fastidioso scriverne. Oramai sono giusto agli ultimi due capitoli, al più 5’000 parole o giù di lì e l’opera è conclusa, ma davvero risulta complicato e doloroso scriverne. Non mi era mai capitato. Forse se c’è sofferenza vuol dire che la cosa sta andando bene, che mi sono immedesimato anche un po’ troppo nei due protagonisti.
Mi ritrovo a essere un lettore di me stesso che non vuole dire addio al testo e che non vuole presentare ai suoi 2 lettori (di qui a… due mesi? un anno?) un’opera non degna delle tre precedenti, inclusi gli altri due romanzi che non fanno parte della serie su detta.
Non mi sono mai reso conto che servono tante energie per scrivere di argomenti ostici, delicati, soprattutto perché non voglio fare la fine di chi accenna i fatti (magari divagando o ripetendo all’infinito un concetto), e solo per aver accennato o ripetuto senza darci il taglio giusto, senza pensare al vero lavoro che si fa sulla narrativa, in generale, pensa di aver fatto tutto quanto c’era da fare.
La narrativa è un conto, l’argomento di cui si tratta è altro. Deve essere narrativa. Un’amica mi diceva che aveva ascoltato la storia di come nasce un certo tipo di vino e pensava a me scrittore come avrei reso la storia. Penso che sia difficile interessare, in un racconto o romanzo, qualcuno raccontando come nasce un certo vino. Se non c’è azione, se non c’è narrativa, cosa si sta esattamente scrivendo? La storia non è il tema e basta, servono idee e una storia con sviluppi e azione che ruota intorno al concetto. Non è facile.
Diciamo che scrivere bene non è facile, non è per tutti. Infatti non tutti scrivono. C’è chi per esempio legge un libro alla settimana e prova piacere.
A voi piace leggere di cose difficili? Vi siete mai cimentati a scrivere di argomenti delicati? È stato doloroso? Quanto tempo avete impiegato?
Tempo fa vidi una serie TV in cui i personaggi che rappresentavano tematiche difficili erano aggiunti in modo talmente superficiale da assomigliare a una lista della spesa.
Personaggio omosessuale? Check. Personaggio portatore di handicap? Check. Personaggio appartenente a minoranza razziale? Check. Personaggio appartenente a minoranza religiosa? Check.
Era imbarazzante perché la tematica non era praticamente affrontata. Stava lì, a occupare un posto nella lista della spesa. Ho provato a immaginarmi che fossero imbarazzati gli stessi autori quando hanno (spero sotto tortura) creato questi elementi perché, probabilmente, ‘dovevano’ farlo. Di questi tempi è spesso richiesto che certe tematiche siano presenti al solo scopo di accontentare delle fette di pubblico.
La cosa però è fastidiosissima. Se devi affrontare una tematica scomoda, fallo. Se non è il caso perché la storia parla di altro (sì, di argomenti per le storie ce ne sono tantissimi), allora non ha senso nemmeno introdurre la tematica. Sbaglio?
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Hai perfettamente ragione. Concordo su tutto.
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Se provi questa sofferenza, forse è proprio perché stai andando a fondo. E fai bene. Certi temi o si affrontano cercando di dare il meglio o è meglio lasciar perdere. Non mi piace il modo superficiale di trattare gli argomenti importanti, delicati, né nei libri né nelle serie tv o nei film. Penso che un lettore non riuscirebbe neppure a identificarsi con il personaggio, in caso contrario. E comunque sono anche convinta che bisogna sentirlo proprio l’argomento per poterne scrivere nel modo giusto.
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Sentirlo proprio è difficile. Lo si può capire, questo sì, e quindi immaginare una storia e la sua evoluzione. Leggere libri che ne hanno trattato e bene è di aiuto. Quanto sudore 🙂 .
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Articolo molto interessante. Concordo su Call me by your name, l’ho trovato perfetto in questo senso.
Sto scrivendo un libro con un personaggio omosessuale che tratta anche il tema del suicidio e della depressione. Scrivo poco e non troppo spesso, infatti ci sto mettendo tantissimo. Ma con temi così difficili ci vuole tempo secondo me.
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Sì, infatti poi mi assale così il dubbio che mi fermo e inizio a rileggere dall’inizio. Lo farei anche ora, ma sono le ultime scene. Male che vada le riscriverò una volta concluso il primo passaggio completo della storia conclusa.
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Ciao, concordo con te e sono dell’idea che se ti immedisimi allora non puoi sbagliare. Per me è uno dei punti fondamentali, sia quando leggo che quando scrivo e nel caso di tematiche difficile, anzi a maggior ragione in questo caso, non si risulta verosimili senza immedesimazione. Spero di riuscirci coi miei personaggi, ho scritto un solo romanzo fino ad ora e sono impegnata con il seguito 🙂 comunque, come ha già detto qualcuno, è bene affrontarle al meglio e scandagliare in profondità, altrimenti tanto vale non cimentarsi con questioni delicate e difficili.
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Immedesimarsi non è facile. Non potrei mai farlo con un caso di anoressia, per esempio. Non saprei davvero cosa prova chi ne è malato. L’immedesimazione può essere un punto di partenza per temi più delicati, ma di cui si conosce o si sentono relativamente più vicini, a volte non è ci si deve essere passati. Qui si inventa, si fa narrativa. A volte basta documentarsi, leggere qualche saggio, ma solo per avere un punto di partenza, non certo per poter dire: ora so tutto sull’argomento, il mio romanzo verrà perfetto.
In effetti il tema complicato che accennavo in questo articolo è giunto alla conclusione in un romanzo di prossima pubblicazione. Siamo non oltre il mese e mezzo. Poi ci faremo le risate. Sono già teso. 🙂
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