la scrittura è sentirsi…

Image availbale on Pexels with license CC0. Author: George Becker.

sentirsi… sentirsi… soli?

Può darsi. Sono passato per vari stadi della scrittura, ho imparato negli anni e ancora imparo quotidianamente, senza sosta, da errori, da sensazioni sbagliate. Spesso ho lasciato molto spazio a chi aveva sempre qualcosa da dire sentendomi come un citrullo che ha bisogno di costanti certezze.

La scrittura è un fiume in piena che ci travolge per la varietà degli atteggiamenti delle persone che si incontrano nel tempo e per il modo in cui si interagisce con gli stessi.

A volte, tra mille situazioni e pensieri incoerenti, devo aver anche fatto scappare le persone da me senza rendermene conto. Forse anche per un mio atteggiamento (non reale) di estrema sicurezza o insicurezza.

A volte, senza un consiglio ultimo da parte di chi si sente super esperto, pare quasi che non abbia senso.

A volte il parere su una copertina porta altra insicurezza. 3’547 pareri diversi.

La verità, quella vera, è che, ogni tanto, bisogna sentirsi sicuri di sé. Nella vita è vero in generale, e vale anche per la scrittura. Certi momenti sudo freddo. Ho la storia, l’ho scritta, la sto scrivendo, ho la copertina, poi non ce l’ho più perché mi rendo conto che nel frattempo ho cambiato gusti, riesco a vedere meglio cosa va e cosa non va in quella grafica che prima mi aveva così preso.

Ho avuto beta lettori di tutte le nature possibili. C’è chi prima si è preso l’impegno e poi è sparito senza alcuna necessità di dirmi, quanto meno per educazione, che non aveva altro tempo. Successe al tempo di “Certe incertezze”. A quell’epoca ne sono successe di belle. C’è anche chi mi ha affrontato come se il mio tipo di scrittura fosse una offesa personale al loro modo di concepire la scrittura e che mi ha detto mi faceva il piacere di continuare a leggere, ma poi è sparito senza dire né A né B, chi la sera mi ha detto che continuava a leggere e poi la mattina mi ha detto l’esatto contrario. C’è chi mi ha dato anche soddisfazioni, perché c’è stato, ha capito del romanzo anche di più di quanto io credevo di aver realizzato.

Essere umani è complicato. Interagire con le persone è complicato.

Spesso ho preso a esempio da imitare alcuni scrittori, li ho osannati. Niente di più sbagliato. Non è cercando di fare qualcosa come se fossi un altro che ci renderà più bravi o migliori. Vuoi che si scriva la storia più vomitevole del mondo, o quella più straordinaria del mondo. Non si deve perdere di vista il fatto che arriverà un momento in cui resteremo soli e, quando accadrà, dovremo capire, se non lo abbiamo già fatto prima, perché ci piace scrivere e perché vogliamo pubblicare le nostre storie.

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C’è chi gioisce per aver venduto un solo e-book del suo ultimo romanzo e poi non vende più nulla e chi si incazza e borbotta se non vende almeno 10’000 copie, e guai a fiatare! C’è chi preannuncia grandi saghe e serie e poi scrive solo il primo volume. C’è il momento in cui ci esaltiamo di aver scoperto un nuovo scrittore che ha scritto una bella storia e poi ci sembra quasi normale chiedergli l’amicizia su Facebook.

In realtà bisognerebbe essere più cauti e ignorare quello che fanno gli altri se questo porta difficoltà nella nostra vita. Tipo sentirsi una merda perché non si è così bravi quanto lui o lei. Senza saperlo qualcuno vorrà anche essere bravo quanto me.

Non si può per forza essere come altri, e nemmeno si può giudicare male qualcun altro. Ognuno opera secondo quando può e quanto vuole fare. Punto. Si deve essere obiettivi. Seguire un proprio percorso di solitudine. Se qualcuno si unisce al percorso in un certo periodo, e ci fa sentire che le cose che facciamo hanno un senso, allora ben venga.

A volte ho partecipato al NaNoWriMo e ho annunciato il numero di parole scritte giorno per giorno, senza nemmeno pensarci due secondi. E poi sono arrivati i segnali in codice: “non è il numero di parole che conta”, “conta la qualità della scrittura”. Come se in una bozza possa davvero contare tutto ciò. O come se uno pensasse di pubblicare una bozza. C’è qualcuno che fa queste cose, ma non sono io. Qualcun altro, e ben ha fatto a non esprimersi, avrà pensato: “ma quello non ha problemi? non ha un cazzo di niente e di meglio da fare nella vita che macinare 50’000 parole in un mese?”.

Alla fine, contano poche cose nella vita. Le conosciamo noi nel nostro intimo, sappiamo che spesso ci sentiamo insicuri, ma l’insicurezza deve sparire, anche se poi torna al round successivo.

Alla fine, resteremo soli. Il nostro romanzo, bello o brutto che sia, non interesserà più a nessuno. O perché ha atteso troppo, o perché quel mese si pensa ad altro, o perché “Antò, fa caldo!”, o perché “il self-publishing è solo un atto masturbatorio”, o per 147’832 altre ragioni.

La scrittura è un atto di solitudine che può far bene o male. Questo può saperlo solo chi opera questo atto di solitudine e, anche se è difficile farlo, non ci si deve mai mettere a confronto con gli altri per sminuirsi o esaltarsi. Se si diventerà più bravi è solo perché si sarà lavorato un po’ di più su qualcosa che i più considerano perdita di tempo (me incluso quando mi sento sconfortatissimo e ho poco tempo per sentirmi felice).

Che ognuno segua il suo percorso nella vita.

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2 pensieri su “la scrittura è sentirsi…

    1. Io dico che non si scrive per avere successo. Io scrivo per essere letto possibilmente da una cinquantina di lettori, non ne vorrei nemmeno di più. Al più cinquantuno, cinquantadue.
      Accontentare un vasto pubblico non è banale (già cinquanta la vedo tosta, figuriamoci di più) e può succedere solo per certi generi letterari e solo con operazioni studiate a tavolino e con un potentissimo investimento economico nel settore marketing. Dicono che servono 100 euro spesi in pubblicità al giorno. Tanto di cappello a chi può spendere solo per la pubblicità di un libro 100 euro a giorno. 🙂
      La scrittura è comuque solitudine. Al più hai una o due persone vicine, e fidate. Non a tutti interessa leggere.

      Piace a 1 persona

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