
Non c’è più il vecchio King!
La storia che ci presenta Stephen King ne L’istituto ha tutte le premesse per essere una storia superbamente narrata. Ci sono dei bambini, degli adolescenti, che subiscono il male da parte degli adulti. Vengono rapiti e sottoposti a esperimenti come cavie per un bene supremo. Ci sono i buoni, ci sono i cattivi, come ne L’ombra dello Scorpione, ci sono i poteri psichici come in L’incendiaria, ma l’autore, a differenza degli stupendi romanzi che ci ha regalato in passato, oggi non riesce più a sfiorare la superficie, fa un uso abbondante di stereotipi legati anche alla produzione cinematografica statunitense di bassa qualità, dove sparatorie e morti fanno “scena”.
Il finale richiama alla memoria lo stesso finale di The Ousider, altra vicenda dove dei personaggi non c’è traccia. Si resta sempre in superficie.
In alcuni momenti c’è un vago tentativo di superarla questa benedetta superficie, ma la trama riporta sempre l’autore a far muovere i personaggi in funzione di essa e non il contrario, come alcuni bei suoi romanzi ci hanno insegnato. Bastava poco per farci affezionare di più ad alcuni di loro, ma non succede.
Ricordo con nostalgia Cujo, Misery, Dolores Claiborne, Il gioco di Gerald, Stagioni diverse, Notte buia, niente stelle. È dopo quest’ultimo che King non produce più nulla degno della nota che hanno avuto certi suoi scritti, anche più semplici, più brevi, ma davvero superbamente narrati.
Si ricorre a un uso che forse potrebbe essere limitato di avverbi in -mente di cui l’autore stesso sconsiglia nel suo saggio On Writing. Ma più che questo sono i protagonisti che risultano marionette nelle mani di una trama che si conclude in un modo prevedibile e poco degno di una buona storia. King ha sempre avuto un problema coi finali. In alcune storie si nota di più, in altre di meno, in poche altre il problema non c’è affatto, purtroppo anche ne L’istituto il finale è scontato, ma più che scontato, si risolve in un modo che dà il colpo di grazia a una storia non particolarmente riuscita.
Forse dopo troppi libri scritti si prova a creare grandi storie con tanti personaggi e di cui poi si perde il controllo, o forse si preferisce tagliare ogni minima emozione che possa definire meglio una vicenda umana impedendo un coinvolgimento da parte del lettore per non eccedere con il numero di pagine scritte.
Vorrei che il buon King tornasse, producesse meno libri, ma che quando lo facesse ne valesse davvero la pena.
Per questo romanzo do un 3,5 su 5.