diario scrittorio: mercoledì, 17 giugno 2020

Era dall’anno scorso che non scrivevo più un articolo per questa “rubrica”. Ne approfitto oggi perché sono giusto tre mesi che sto provando a scrivere il settimo volume della mia saga/serie “Le parole confondono”.

Di recente ho ricevuto dei complimenti per la nuova edizione del primo volume, ma non so se si tradurrà mai in una recensione. Non importa. Tutto scorre, tutto passa, panta rei. Quando si pubblica un libro non succede mai nulla di che, se poi si pensa che sono passati 8 anni, allora pure peggio, no?

Non mi sono più occupato molto di questa rubrica perché non credo che alle persone che per caso si trovano a visitare queste pagine possa importare un fico secco di ciò che ho scritto o che sto scrivendo. Però oggi mi devo in qualche modo motivare a proseguire.

Di questo volume ho in mente tutto, nel senso che ho iniziato a scriverlo solo quando sapevo bene di cosa parlare, ovvero in che modo far evolvere le due storie parallele che oramai accompagnano ogni volume: il presente e il passato, quel passato che svela a volte elementi fondamentali della storia che si svolge nel presente.

Conoscevo il titolo, almeno lo sapevo quando ho iniziato a preparare il file e a scrivere il primo paragrafo. C’era già una copertina definitiva. Avevo comprato l’immagine ispirato per un altro romanzo e di un altro genere quasi un anno prima. Idee sparse, ma che spesso non si concretizzano perché mi servirebbero 30 giorni in 1 per poter scrivere tutto ciò che vorrei.

Tutte queste cose che dico di sapere appena inizio a scrivere non mi vengono in mente per magia, oppure perché aprendo LibreOffice Writer vengo folgorato da una visione che mi dice il punto di vista in prima persona di chi sarà, qual è il tema del volume, il titolo e la copertina, come inizia, come prosegue e come finisce. Sono cose su cui, ovviamente, ragiono per mesi, magari mentre sto scrivendo o correggendo altro. Non è lasciato nulla all’improvvisazione, non scelgo il primo titolo che mi passa davanti senza avere alcuna idea di cosa sto facendo. C’è tutta una preparazione esasperante quasi.

Visito addirittura i luoghi dove si svolgeranno delle scene importanti, ma se non posso visitarli me li ritrovo in testa, ci cammino dentro perché sono pezzi che fanno parte di me. Che mi donano serenità. Parlo di Londra. Ricordo quei luoghi, quelle scoperte, quei momenti belli pieni di sole in un parco, o in giro per certi ambienti che amo e che proprio ora mi mancano tanto e non so se rivedrò mai più. Proprio in questo momento mi viene in mente il vento piacevole sotto il sole e io steso sul prato di Primrose Hill. Quanto darei per essere lì adesso!

La storia si svolge tra Napoli e Londra. Un po’ come in “I motivi segreti dell’amore”. Il protagonista assoluto sarà un personaggio conosciuto nel quinto e nel sesto volume, ma ci sarà tutto il cast al completo: Andrea, Giulia, Francesco. Questo settimo volume si spinge avanti e arriva all’anno 2018. Mi sento quasi un bastardo a parlare di un sogno di un adolescente che va incontro alla Brexit e addirittura prossimo al coronavirus di cui ovviamente non parlerò. Sono crudele a mettere i personaggi in una situazione di totale incertezza e pericolo. Un pericolo di cui loro non sanno e che nemmeno si arriverà a sapere se non nel febbraio 2020, ma il romanzo finisce prima di quel tempo. Spero che si salveranno, ma già so che sarà così. Addirittura avevo pensato, proprio per queste notizie disastrose di non scriverlo più.

In realtà mi servirebbe un altro libro che si ponga tra il sesto e il settimo per spiegare alcune situazioni che nel frattempo sono evolute, ma non mettiamo troppa carne a cuocere, inoltre non tutto deve essere messo nero su bianco. Ognuno, se ci tiene, potrebbe farsi una sua idea.

I personaggi sono molti, ci sono rivelazioni importanti e sconvolgenti, che rompono quel poco di certezza che ci si crea quando si pensa al futuro e ci si ritrova in un certo presente solo perché si è pianificato, perché si sono fatti sacrifici prima.

Parlavo del visitare i luoghi. Sono più o meno due settimane che provo a svegliarmi presto per correre a fotografare l’alba del sabato o domenica mattina (per chi non lo sa si tratta delle 5:30 circa del mattino), ma una volta il tempo è nuvoloso, un’altra volta c’è il fatto che mettersi dopo cena a dormire essendo abituato a ben altri orari non mi porta sonno e quindi quando dovrei scendere per non perdermi l’alba sono in fase di sonno profondo. Sento anche la sveglia, ma mi mancano le forze. Proverò sto fine settimana. Incrociamo le dita.

Sono comunque sceso molto presto sabato scorso e sono arrivato a guardare il mare. L’aria era diversa, le strade non erano affollate, c’era più silenzio e pochissime persone. Non vedo l’ora di mettermi in cammino per vedere l’alba.

Ho in mente una scena importante che avviene al lungomare all’alba e d’estate. Mese di luglio. Cerco ispirazione per rendere tutto reale, ci rimugino.

Insomma, mica si trova un titolo, si prepara una copertina e si scrive un nuovo romanzo avendo in mente molte cose così, ripeto, per magia. C’è un lavoro minuzioso prima, durante e dopo.

Sì, ho iniziato il 17 marzo a porre la parola inizio al settimo volume. Avevo pensato di partecipare al #CampNaNoWriMo di aprile, avvantaggiato di circa 5’000 parole, ma poi non ce l’ho fatta. A fine aprile credo avessi tipo 10’000 parole. Avere tutto in mente non vuol dire che ti metti e scrivi tutto perfetto dal principio e vai come un treno. Ci sono cose che ancora non so, ma molte altre cose ci sono. C’è il climax e c’è il finale. Non dettagliatissimo, ma ci sono. Non inizio mai senza sapere quale sarà il massimo punto di impatto drammatico di un testo e come si concluderà, perché ci sarebbe il rischio concreto di fermarsi dopo un po’ dall’inizio, di scrivere tante cose inutili che poi non hanno né capo né coda.

Ma il difficile è l’inizio, vai molto più lento, non sai bene come rendere le scene, come legarle, se c’è un dettaglio che deve risaltare perché pensi che poi devi collegare il tutto a qualcosa che avviene dopo.

E poi c’è stato e c’è questo (bip) di virus, c’era un viaggio che avrei dovuto fare e di cui avevo pagato parte che non ho riavuto indietro, ma ho dovuto immaginare a quando rimandare per non buttare i soldi. Sono vivo, fortunato, mi pongo problemi stupidi, lo so, ma a me ha mandato proprio al tappeto moralmente. Ci sono stati molti giorni che non avevo voglia di fare nulla. Guardavo il PC e mi dicevo: «Alzati dal letto e, se non vuoi scrivere, affacciati alla finestra, bevi dell’acqua», ma poi sono restato paralizzato sul letto per 2-3 ore piangendo un po’, disperato per tremila motivi.

Insomma mettere insieme queste 35’000 parole in tre mesi non è stato banale. Mi sono persino trovato a riscrivere i capitoli tante volte. Ho scritto il primo, poi il terzo, poi il quinto. Perché questo ordine? Perché sono i capitoli della storia al presente e farseli di fila impedisce di creare incongruenze o di scordarsi le cose già dette.

Poi ho scritto il secondo, il quarto (quelli al passato), poi li ho letti, riletti, ho cambiato molte cose, non ero convinto, mi dicevo: «Non c’è futuro, moriremo tutti fisicamente ed economicamente, andrà malissimo nel migliore dei casi, e io mi sfotto a scrivere un romanzo ex-novo di cui non so se ho la forza di portare avanti?». In questo romanzo c’è il viaggio, la gioia del cambiamento e ho pensato che mi servirebbe un gran cambiamento e poi invece mi chiudo sempre di più. Non ce la faccio. E mi è venuto in mente quella scena in “Certe incertezze” quando Andrea Marini dice a Francesco Sacco: “Francé, non ce la faccio. Non ce la faccio”. Mi sentivo così e ancora mi sento così, di meno, ma non so.

Una cosa è sicura. Se fino a due mesi fa non sapevo se avrei finito questo libro, ora so che voglio vedere come va a finire la storia di Sergio e Salvatore. Ora ci sono tutti i presupposti per concluderla. Non so se mi convenga partecipare al #CampNaNoWriMo di luglio per finire il romanzo. Non so nulla. Sono abbastanza avvilito e la cosa si risente anche a livello fisico. Metabolizzo assai.

Voi tutto bene?

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