
Premesso che un prodotto di intrattenimento (narrativa, produzioni televisive, videogiochi e musica) a diffusione globale ha bisogno di gran cura, di tante mani, di fortuna, qualche volta di conoscenze, come detto qui, vediamo di accennare cosa vuol dire essere scrittore oggi.
Scrittore vuol dire che si scrive, mi verrebbe da dire. Non dovrebbe esistere (e non mi piace) l’espressione “aspirante scrittore”. Non si può aspirare a scrivere e poi non farlo mai, oppure farlo ed essere comunque chiamato “aspirante scrittore”. Non si tratta di un aspirapolvere per pulire i tappeti. Non è una sorta di titolo nobiliare (in negativo) specifico per lo scrittore. Si usa, l’ho sentito dire tante volte, certo, ma secondo me è fuorviante perché è un modo di sottintendere tante cose e nulla. Forse meglio indicare il numero di pubblicazioni fatto, specificando se si tratta di romanzi o racconti. E nemmeno. Non è che si è più scrittori di un altro se si sono sfornati più titoli. Insomma, la questione che si liquida con “sei un aspirante scrittore” (ovvero “non sei che una nullità”), non è così banale e semplice da definire.
Aspirante scrittore. Non si può aspirare a scrivere. O si scrive o non lo si fa. Non c’è una via di mezzo.
So che gli editor non li amano, ma esistono gli aggettivi per definire le qualità di un qualcosa. E quindi possiamo dire: uno scrittore alla prima pubblicazione, uno scrittore non coinvolgente, uno scrittore molto bravo, uno scrittore poco bravo. Ma, come detto nell’articolo precedente, è l’insieme di tanto pubblico a decretare il “successo” o meno di uno scrittore (non che ogni scrittore abbia lo stesso obiettivo quando pensa al successo).
Quello che per me è un bravo scrittore per almeno un altro lettore non lo sarà, e viceversa. So molto bene che a volte ci si ritrova davanti a testi illeggibili anche dal punto di vista di ortografia e grammatica, ma quelli non fanno testo, nel senso che per parlare di scrittura bisogna avere delle basi di partenza, delle precondizioni. Se devo recensire qualcuno dovrei mettere in risalto cosa mi è piaciuto e, se proprio ci tengo, cosa non mi è piaciuto. Se un testo non mi è piaciuto per tanti motivi non ne parlo proprio. Preferisco recensire, se mi riesce di farlo, chi secondo me ha suscitato il mio interesse, chi ha smosso le mie emozioni mentre leggevo.
Ho anche recensito qualcuno che non mi piaceva affatto. Anche se “recensito” è una parola grossa. Sono note mie personali, si può dare una opinione su un testo, non si può pretendere di avere la verità in tasca per tutti, mi pare ovvio. Mi capita di parlare male di best seller di autori esteri, che in genere evito sempre di comprare perché sono il classico prodotto che non mi piace. L’ho fatto, per esempio, con “Jurassic Park”, “The Lost World”, “Ready Player One”, “Il caso di Harry Quebert”, “13 Reasons Why” e “La principessa di ghiaccio”. Questi ultimi tre mi piacerebbe capire come facciano a vendere milioni di copie. Li ho recensiti male e tornerei pure a farlo.
Poi ci sono stati best seller stranieri che mi sono piaciuti (come i primi romanzi di King: Dolores Claiborne, Il gioco di Gerald, IT, L’ombra dello Scorpione, per fare qualche nome). Questo a confermare che ogni libro ha una propria storia e che non si può mai generalizzare anche quando si pensa si possa, tipo il classico lamento universale in cui si dice che tutte le persone che si pubblicano da sole non sono scrittori, ma merda, nei migliori dei casi. Qualcuno ha avuto anche attacchi personali abbastanza offensivi solo perché non è si fatto scegliere da una casa editrice enorme o, peggio ancora, è stato rifiutato. Non che gli attacchi (con tanto di augurio di morte) non manchino in generale un po’ a tutta la specie umana, se si considerano gli ultimi due anni e i social network.
Ho letto “Camere separate” di Pier Vittorio Tondelli. Dicono il suo miglior romanzo, il suo capolavoro. Posso confermare. Un romanzo bello, intenso, appassionante, doloroso, delicato, reale, da leggere, insomma. Particolare, ma cosa no lo è, se vogliamo? Lo stile era così bello, da mostrare le cose, invece di raccontarle e basta.
All’interno del romanzo c’è una appendice in cui sono inserite anche le recensioni favorevoli e sfavorevoli che ha avuto. Alcuni lo hanno fatto letteralmente a pezzi. Alcuni giornalisti critici di famose testate. Quale sia il senso di fare a pezzi qualcuno da una grossa testata giornalistica, magari insultando anche, infatti taluni lo hanno definito “piccolo scrittore”, come a dire: “io ho la verità in tasca, solo io so chi merita il titolo di scrittore e chi no”. Fosse stato di un testo infelice, pieno di errori grammaticali, di refusi, di un costante uso di frasi fatte, stereotipi, forse potrebbe pure avere un senso.
Mi chiedo, in questo caso, perché si parli male da una testata giornalistica di un buon libro, oggettivamente parlando. Pilotare le vendite in favore o sfavore di qualcuno? Io penso che quando un testo non è nelle proprie corde, quando si ha un pregiudizio, si notano tutti i difetti del mondo e di più. Quando un libro non è compatibile con noi non va letto, non va nemmeno comprato. All’epoca non c’erano gli e-book con la funzione dell’anteprima, le recensioni erano fatte da grandi giornali, alcuni grandi editori possiedono grosse testate giornalistiche, quindi è ovvio come vengano considerate e scritte le recensioni per gli autori della propria scuderia e per quelli della concorrenza, o quante recensioni appaiano di autori della propria scuderia rispetto a quelle della concorrenza. O forse no, boh, non è un mio problema, a prescindere, ecco. Ognuno è libero di fare ciò che ritiene di voler fare. A volte tante critiche negative incrementano anche le vendite, perché la gente vuol capire perché si parli così male di qualcosa.
Quindi, in pratica, non dobbiamo farci impressionare da chi vende in quantità industriali, da chi vede realizzare film e serie televisive dai propri manoscritti. Sono realtà che allo scrittore mite, sconosciuto, normale, non capitano. La normalità è non vendere che una piccolissima manciata di copie, a volte nemmeno. La normalità è nascere sconosciuti e restarci.
L’anomalia è quando si vendono tante copie, e comunque sono cose rare, se non si è intervenuto con una campagna di marketing e annunci a pagamento.
Il bravo scrittore è quello che non è geloso del successo dell’altro. Se uno vende più copie di me vuol dire che in qualche modo si è rimboccato le maniche. Nulla succede senza mettersi a far sì che una cosa accada, in nessun campo. Non scende il panariello dal cielo, dicono da queste parti. Se ho pure letto il romanzo in questione e mi è piaciuto io sono felice quanto l’autore di questo successo. Sarei uno stupido a esserne geloso.
Ma è pure vero che dietro la pubblicazione, oggi, c’è un movimento di massa e di soldi da paura, ci sono alcuni generi e alcuni autori che fanno una battaglia per restare ai primi posti delle vendite su Amazon e hanno schiere di gente che fa in modo che accada. Non è una cosa che mi interessa, comunque, io scrivo perché mi piace, ma approfondiremo i motivi nel prossimo articolo.
Io resto nel sottobosco di chi scrive quando ha tempo e tra testi vari, ogni tanto, pubblica un libro. Per esempio, sto ancora lavorando sul settimo volume della serie “Le parole confondono” di cui non mi è chiaro se concluderò la storia in via definitiva o metto da parte idee per un volume otto. Le idee ce le ho, ma mi devo divertire a scrivere e non sempre succede. Nel mentre dovrei scrivere e correggere dei racconti per la seconda stagione di “Questa estate succede che”, ma non credo succederà a brevissimo, se volete altri racconti di quel libro, io resto a disposizione.