Romanzi, novelle e pensierini

Immagine di Janko Ferlic su Pexels.

La narrativa è varia. C’è chi spaccia pensierini per un testo, chi spaccia novelle per romanzi brevi ma intensi e chi, per fortuna, chiama romanzi libri che sono veri romanzi. Il riferimento per cui si usa un nome tecnico ben preciso è legato al numero di parole di cui si compone il testo, e non alle pagine stampate di cui è fatto. Poi c’è chi pubblica una sceneggiatura (una lunghissima sequenza di dialoghi e basta) dicendo che è un romanzo, ma oggi non voglio parlare del fatto che una sceneggiatura è una sceneggiatura e non un romanzo.

Ho sentito chiamare romanzi testi poco più lunghi di un racconto, impaginati con un carattere di grandi dimensioni tipo 14 o 15 punti e assegnando dei margini molto spaziosi (4-5-6 cm) in modo da trasformare un testo di 60 di pagine A5 in un testo di 140 pagine. E di recente, sarà che questa cosa funziona molto proporla in estate, mi sono imbattuto in almeno 4 romanzi brevi ma intensi. O forse non ci avevo mai fatto caso visto che in una libreria fisica non metto più piede da un po’.

In tutto ciò, c’è un problema? E se c’è, di che natura è?

Ma facciamo un passo indietro.

Romanzi, novelle e pensierini hanno una dimensione ben precisa, o comunque variabile in un insieme ben definito. Un romanzo parte dalle 50’000 parole, una novella varia tra le 20’000 e le 40’000 parole e i pensierini non saprei, forse 1’000 parole, nel migliore dei casi. Qualcuno ha anche pubblicato un libro pieno di pagine bianche e qualche frase scritta qui e lì ogni tanto. Chi ha fatto questa operazione è un autore noto insieme a una casa editrice nota. Poveri alberi!

Non c’è che da ammirare chi ha pubblicato i pensierini o c’è da mandargli una lunga serie di improperi? Non è un mio problema. Sinceramente. Gente che li ha comprati c’è stata e, di questi, non so in quanti abbiano rimandato il libro indietro facendosi ripagare. Magari nessuno.

A questo punto mi pongo due domande.

Prima: è corretto mentire sul tipo di testo che si pubblica per venderlo?

Seconda: un lettore che compra un libro va nel panico se gli dicono che ha comprato una novella o una novelette invece di un romanzo?

È corretto mentire sul tipo di testo che si pubblica per venderlo?
Se si parla di un testo di 15’000-20’000 parole e l’editore dice che l’autore ha scritto una bella novelette, rischia di non vendere il testo, oppure lo chiama romanzo breve ma intenso (impaginandolo in modo da tirare fuori 140 pagine) per affibbiargli un prezzo di 16 euro invece di 8? Questo tipo di libro si vende di più? È una operazione commerciale bella e buona?

Attenzione. Non sto facendo caricature, non sto dicendo che chi non pubblica testi lunghi non ha un valore narrativo valido. Per nulla. Sto solo cercando di capire perché sia difficile distinguere e riconoscere un romanzo, una novella, una novelette e una raccolta di pensierini.

Il romanzo, quello vero di almeno 50’000 parole, spaventa i lettori? Per spingere la gente a leggere si deve chiamare il racconto lungo come romanzo breve? Chissà. Sarebbe interessante intervistare per strada delle persone e chiedere esplicitamente questa cosa.

Un lettore che compra un libro va nel panico se gli dicono che ha comprato una novella o una novelette invece di un romanzo?
È una domanda seria. Il lettore potrebbe effettivamente sentirsi spaesato, quando è stato l’editore, per anni, a chiamare sempre romanzo e romanzo breve e romanzo breve ma intenso un testo per poterlo vendere a un prezzo molto più alto del dovuto. Considerando che il prezzo di copertina va al 60% al distributore, poi si innescano una serie di considerazioni per cui si va molto oltre a quanto volevo dire in questo articolo. Alla fine, magari, potrebbe anche andare bene chiamare un testo come cavolo pare all’editore.

Io sono per la chiarezza. Una torta di fragole è di fragole, non è di mirtilli o di more. Sono tre frutti diversi anche se il colore o la forma potrebbe confonderli, se si guardano le torte in modo superficiale o da lontano.

Quando poi il “romanzo beve ma intenso” è una sceneggiatura allora si va completamente alla deriva. Le parole, le stesse di cui si compone un testo, sono importanti e l’uso delle stesse lo è altrettanto, soprattutto per un autore, per uno scrittore, per un editore.

Poi ognuno è libero di semplificare è chiamare romanzo qualsiasi cosa. Magari definire saga una serie di racconti messi insieme e che magari a stento raggiungono la dimensione delle 50’000 parole.

Il book store Kobo è l’unico che ci permette di vedere cosa stiamo comprando. Nei dettagli dell’e-book indica il numero di parole di cui si compone e il tempo che in media si impiega per leggerlo. Credo siano informazioni fondamentali per un lettore, oltre la trama e il genere. Prima di fare acquisti valuto anche queste due informazioni sul sito di Kobo.

Per voi un romanzo, un racconto, una novella, una novelette o una raccolta di pensierini va benissimo chiamarla romanzo?

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