Il caso dell’editoria italiana?

Mis libros de 2009

(CC) Malglam: nessuna modifica apportata: licenza

Il caso dell’editoria italiano è sempre sotto gli occhi di tutti, stavolta anche degli autori esteri tradotti in italiano. Ed è un caso generalizzato. Io, personalmente, ho smesso di credere negli editori diversi anni addietro. Eppure c’è ancora chi ci crede, chi desidera e agogna una pubblicazione con un editore. Sia ben chiaro: che ognuno si senta libero di fare ciò che vuole, di agognare, io non ne sento alcuna necessità. Gli editori li ho conosciuti di persona e non ci tengo a essere pubblicato da un editore. Non sarà un marchio editoriale a etichettarmi come scrittore e, tra l’altro, io odio le etichette.

Ma veniamo a noi. Non tutti sanno di cosa parlo. Una nota casa editrice (ma non è chiaramente l’unica) non paga più autori e collaboratori, traduttori. Portavano in Italia autori esteri traducendoli. Il caso è scoppiato quando uno di questi autori ha iniziato a denunciare la cosa su Twitter. Hari Kunzru ha scoperchiato il vaso di Pandora, visto che la moglie, Katie Kitamura, pare non essere mai stata pagata dal signor editore. Né lei né chi ha tradotto il testo, né i collaboratori tutti di questo editore che poi si sono uniti ai tweet dell’autore britannico. La storia è nell’hashtag #occupyIsbn. E l’articolo è sull’Espresso: http://crino.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/05/14/scrittori-e-traduttori-leditore-non-paga-la-cultura-si-fa-a-gratis-ma-qualcuno-ci-guadagna/.

Questa non è la prima e nemmeno sarà l’ultima storia del genere. Il lavoro in Italia per un motivo o un’altro non viene pagato in generale. E l’editoria è uno di quei campi dove succede. D’altra parte, qualcuno al governo, qualche tempo fa, disse che con la Kultura non si mangia, quindi di cosa ci si stupisce?

Sono contento di non aver mai pubblicato una mia intera raccolta di racconti o un romanzo con un editore. C’è invece chi continua a cercare un editore a suo rischio e pericolo. Il talento non si etichetta con un marchio editoriale, soprattutto perché non sono casi di talento quelli che sono i bestseller delle classifiche italiane. Casi di cui hanno fatto film arrivati nelle sale il 14 febbraio scorso. Il caso di uno dei peggior libri pubblicati, ma che tutti hanno comprato, letto o hanno desiderato leggere e, fatto sta, che è il più venduto da mesi, mesi e mesi, sempre primo in classifica. Una buona vacca da mungere e a quel punto qualsiasi cosa possa dire un editore o un editor non mi interessa. L’editoria non porta assolutamente cultura o selezione. L’editore è un soggetto che non ha assolutamente il compito di fare cultura. L’editore è una azienda che deve fare soldi. Il resto sono chiacchiere.

Una volta pensai: e se aprissi io una casa editrice? Gli ebook li so fare benissimo, impaginare un libro pure, di copertine me ne intendo, di valutare un testo ne sono capace, qualche editor lo si assume, poi mi sono chiesto: in cosa si distinguerebbe la mia casa editrice? sono sicuro che poi non dovrei scendere a patti e pubblicare immondizia per vendere? quanti collaboratori professionali servono? quanto bisogna investire per avviare una casa editrice? E a quel punto mi sono detto: si fallisce in tempi di crisi, ma aprire una casa editrice comporta sacrifici così grossi e un rischio di fallimento altissimo. Nessuno legge e chi legge si basa su quanto viene pubblicato dai 6 grandi nomi dell’editoria, per il resto non ce n’è per nessuno. E dopo l’ennesimo caso italiano di buona editoria mi viene solo da sorridere. Ammiro chi apre una casa editrice sotto le migliori intenzioni, ma non li invidio affatto quando poi dopo sei mesi, un anno, si accorgono che per vivere devono magari cercarsi un altro lavoro.

In ogni caso possiamo anche parlare di crisi, ma secondo me non è più il caso. Oggi la realtà è cambiata e non c’è modo di tornare indietro, quindi continuare a usare l’alibi della crisi è un po’ assurdo. Crisi è il termine sbagliato. Oggi le cose sono semplicemente precipitate, si vive malissimo e non c’è modo di assicurarsi un futuro, soprattutto quando vedi che lì in alto nessuno lascia la sua tanto ambita e agognata poltrona e che di sacrifici, loro, manco per errore, salvando la pace forse di una ventina di persone su mille e più.

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