
Spesso, scrivendo da anni, mi interrogo su quale sia il senso che c’è dietro l’atto della scrittura e, soprattutto, quello di continuare a farlo.
Oggi tutti hanno almeno 15 romanzi nel cassetto. Nel 2017, quasi 2018, con Amazon, chiunque abbia un computer e una connessione a internet può “invadere” il mondo col proprio prezioso “libro”. Basta un attimo. Ragione in più per pensare cosa fa la differenza tra impegnarsi e non farlo, perpetrare e darsi per vinto, esausto.
Venerdì scorso davo uno sguardo all’ennesimo romanzo porno spacciato per “erotico” su un gruppo Facebook dove oramai arriva solo immondizia allo stato puro in blocchi da 10 porno al giorno. Tutto gratis. Oramai si scrive solo di porno, facendolo malissimo, tra l’altro.
Non ho letto la trama, ho aperto l’anteprima del libro per vedere la qualità infima dove arrivasse.
Non si è fatta attendere troppo. Una copertina con delle tette intraviste e un nome e titolo piazzati un po’ a casaccio. Voto copertina: 0. Titolo estremamente originale. 50 ore di pensa e ripensa non sarebbero stati in grado di dare un titolo migliore. Voto titolo: 0. La sinossi non la leggo. Apro l’anteprima dal browser e scopro subito che non ha nulla di erotico. Scene descritte con una noia assurda, con le solite paroline “scopare”, “membro”, “turgido”, ecc… Indentazione del testo manco a sentirne parlare. Rientri inesistenti. Però diciamo che è l’ultima cosa che si potrebbe guardare considerando il livello infimo del testo.
Ho letto buttando un po’ l’occhio tra i paragrafi noiosi e ho visto che il rapporto con la lingua e la grammatica italiana è meno di zero. In un paragrafo il tempo verbale cambiava in maniera del tutto casuale (ovviamente errata) passando dal presente, al passato remoto e a quello prossimo. Se una scena sta accadendo in quel momento non puoi usare passato prossimo, passato remoto e presente a casaccio per descrivere azioni che all’inizio del paragrafo hai iniziato a scrivere con il presente. Mi seguite?
Le prendo una tetta, lei mi prese il membro e aveva avvicinato la bocca, poi lo ha preso…
Frasi così. A cazzo, insomma 🙂 .
La volta scorsa ho scritto un articolo un po’ incazzato contro quelli che associano il selfpublishing tutto alla merda. Dopo aver visto la qualità eccelsa e letteraria che passa in questo gruppo Facebook da cui mi sono cancellato all’istante dopo mesi di spam ricevuto, mi verrebbe da dire che forse un po’ ho esagerato. Però una cosa è sicura. Il selfpublisher come lo intendo io NON esiste davvero. Per me, il selfpublisher, è una persona ideale che fa tutto bene. Ideale. Tutto. Diciamo che fa molte cose bene. Tante.
Allora, sto divagando. L’intento dell’articolo di oggi è un altro. Perché si scrive? Non lo so. Non posso parlare per chi invade il web di quell’eccelsa qualità di scritti “erotici” e non. Parlo per me.
Ho iniziato a scrivere molto presto, per me stesso, poi nel 2012 ho cominciato a pubblicare come indipendente. Diciamo che ho commesso l’errore di mettere in vendita racconti che non erano nel massimo della loro qualità. Ero disgustato dall’editoria, e ancora lo sono, e non ho pensato a quello che davvero stavo facendo. Potevo fare di meglio. E, infatti, poi meglio ho fatto.
Mi interrogo di continuo su quanto il mio meglio sia davvero meglio.
Dopo tanti e tanti pensieri, tanta e tanta esperienza (che comunque non ha un punto di arrivo). Mi sono detto che non ero uno scrittore che aveva la gente fuori dalla libreria la notte prima della pubblicazione ufficiale, mi sono detto che se anche avessi mai avuto questa folla non l’avrei saputa gestire.
Mi faccio prendere quasi dall’ansia di pubblicare dietro approvazione, come se non lo stessi facendo io, ma portato mano per mano da qualcun altro, magari lasciando scegliere altri per me. Tormentato di continuo dal demone dell’insicurezza, dal dover mettere la faccia, un nome, su qualcosa che è autopubblicato e su cui ci sono tante storie e strorielle in giro, poco piacevoli.
Non so scrivere una sinossi decente? Eh, vabbe’, lo so che non so scrivere la sinossi come meriterebbe. Però non posso avvilirmi. Ci sono cose molto più gravi, che ho anche vissuto sulla pelle, però a volte ci si perde, sapete. Vuoi fare meglio meglio e poi?
Ma allora dove sta il senso e il piacere estremo della scrittura?
Sta nel rilassarsi, prendere fiato e fare le cose per bene secondo il proprio modo di essere, riconoscendone tutti i limiti, ma senza quell’ansia da prestazione che il 90% delle persone nemmeno ha. Mi piace dare vita a storie, mantenere vivi i personaggi. Mi piace dargli spazio in più volumi, come sta accadendo per la serie de “Le parole confondono”, dove Andrea, Francesco e Giulia vengono visti da varie angolazioni in una storia che evolve nel tempo, offrendoci aspetti di loro completamente nuovi, inediti.
Questa cosa mi fa piacere. Non devo guardare troppo le cose con fare assillante, ansioso, anche perché scrivere non mi fa pagare le bollette. A volte ho avuto a che fare con persone che mi hanno risposto in modo acido che loro devono pagare le bollette. Tutti le pagano, ma che io sappia nessuno scrittore normale lo fa con quello che guadagna dalla scrittura, a volte manco una pizza e una birra.
Ho iniziato a leggere solo quello che mi fa piacere. Ho smesso di sforzarmi di leggere ciò che non mi trasmette nulla. Perché, sapete, poi inizio a fare paragoni. Io faccio, io dico, la copertina, il titolo, i rientri, la storia, lo stile, ecc… ecc… Ma chi me lo fa fare di rovinarmi la giornata per nulla, per inezie?
Ho trovato un buon beta lettore, mi dà un buon riscontro sul testo. Un ottimo beta lettore, raro. I beta lettori buoni sono rari. Beta lettore buono è diverso da buon lettore. Sono due cose distinte e separate.
Ci sarà sempre modo di fare meglio. Se c’è tempo. Perché il tempo, a un certo punto, potrebbe andarsi a fare benedire. Potrei anche morire da un momento all’altro. La vita è breve per potersi agitare per “banalità” a pro di cosa? Di nulla.
Il terzo volume de “Le parole confondono”, che è quasi diventata un’ossessione, è prossimo, si tratta di più o meno 2-4 settimane. Appena è pronto lo pubblico. Sulla sinossi ci ho lavorato per quanto mi riesce, per quelle che sono le mie energie, non avrò fatto grandissimi sforzi, so che una buona sinossi è il biglietto di visita di un libro, però non posso ossessionarmi, ammalarmi, innervosirmi perché non mi sembra di riuscire a scriverne una decente. Posso lavorarci duramente notte e giorno, poi Amazon viene invaso da spazzatura e tutti gli sforzi di una pseudo visibilità da selfpublisher vanno a farsi benedire.
Oggi non mi va di polemizzare contro nulla e nessuno. Che ognuno si senta libero di scrivere gli articoli che vuole contro i selfpublisher, se riesce ad avere più clic sul quotidiano per cui viene sottopagato, o più visite sul blog, faccia pure. Io non leggerò più articoli, polemici o meno, sul selfpublishing e nemmeno leggerò per forza libri che poi mi sentirò di dover recensire. Ho scoperto che forzarsi a recensire dei libri che sono appena sufficienti è una brutta gatta da pelare. Soprattutto ho deciso che NON recensirò mai quei libri dove si sbagliano i tempi verbali volutamente e in maniera evidentissima, quelli dove per l’autore «E’» oppure «È» è la stessa cosa. Potrà anche essere un capolavoro la storia, però devo sentirmi a mio agio tra le mie letture e le mie recensioni. E, soprattutto, non devo favori a nessuno, a parte qualcuno in altri ambiti, ma questa è un’altra storia.
Sì, ma dove sta il senso e il piacere estremo della scrittura?
Sta nel divertirsi, nel ridere di se stessi, di una scena che si scrive, è tutto nella preparazione, nel tempo che si dilata mentre sei a inventare le vite delle persone e portarli verso il patibolo o farli volare nei cieli in alto.
Le ansie e lo stress da prestazione, da non riuscita di un libro, da “nessuno legge” o “nessuno compra il mio libro” ci saranno sempre, tutto l’anno. I report basta non guardali manco più. È piacevole? Nì. Così va, bisogna accettare i fatti, prima si accettano, prima si vive senza prendersi troppo sul serio dove non bisogna prendersi troppo sul serio.
Sarà, però poi resta sempre un po’ di delusione, di amaro in bocca, e torno a interrogarmi di nuovo, in un infinito tira e molla.
Ne vale la pena? Ne viene fuori qualcosa di straordinario che mi fa stare bene?
Stare bene è la parola d’ordine.
Finché fa bene è un bene. A me scrivere piace e diverte, per altri invece è doloroso. Ognuno sa perché scrive o perché non lo fa. Non c’è scritto da nessuna parte che bisogna farlo. Non bisogna forzarsi, e nemmeno dire: “Ho scritto un libro”.
I libri si potranno anche scrivere, lo fanno tutti, altro conto è saper raccontare storie e metterle in un libro.
Capisco i tuoi tormenti, sono un po’ quelli che hanno tutti coloro che scrivono. Io in più ne ho anche un altro: mi lancio nel self o continuo a bussare alle porte degli editori?
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Non saprei 🙂. Per fare selfpublishing come lo intendo io è molto dura. Devi saperti destreggiare in molti ambiti. E, nonostante tutto, vedere non succedere nulla. A volte mi chiedo: se non avessi pubblicato mai nulla oggi che starei facendo?
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c’è chi prende e dopo il lavoro va a correre, a me piace mettermi a scrivere. Mi piace e mi diverte. E lo faccio anche per cercare qualcosa, un senso. Più scrivo e più trovo uno stile, temi miei. Mi piace farlo in assoluta libertà, non da dentro la prigione del lavoro, e mi piace farlo cercando di migliorarmi.
Poi c’è chi è bravo e riesce a mettere su un business con il self-publishing, sfornando volumi in maniera seriale e sapendoci fare col marketing. Tanto di cappello ma non è quello che cerco io. Tutto qua.
PS. Sei uno scrittore fortunato ad avere un beta lettore! 😉
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E non è una beta lettore qualunque. Nota cose pazzesche. Sono fortunatissimo. Speriamo ci sia sempre. Ho il terrore di rimanere senza 😃. La scrittura deve rilassare sì, per quanto possibile. L’editing poi stressa comunque anche se diverte. Stressa perché si sa a priori che qualcosa sfugge sempre 😳
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“Le prendo una tetta” è veramente il top dell’erotismo, ma dove hai trovato questo genio? 😀
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Magari vende pure tanto 🙂 E magari mi do al genere sotto pseudonimo 😃
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Oramai quando non si sa cosa scrivere, si scrive un articolo contro il self publishing, accessi e commenti garantiti come alla partita scapoli e ammogliati. Senza considerare che l’anno dopo lo scapolo potrebbe passare tra gli ammogliati, e un ammogliato divorziare improvvisamente e trovarsi scapolo. 🙂
Comunque, «E’» non è la stessa cosa di «È», io però sulla tastiera il tasto «È» non ce l’ho e per convinzione personale utilizzo «E’». Con tutti i tasti che ci sono, possono inserirlo. A che mi serve “§” per dire?? 😀
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Parole sante. Ci sarebbe da ridere se prima ti scateni contro e poi magari 6 mesi un anno dopo ti autopubblichi.
Sarà che la “È” non c’è in modo predefinito, ma se vuoi essere considerato hai modo di sistemarla. Sotto Linux con LibreOffice è automatica. Basta avere un CapsLock attivo oppure che prima ci sia un punto e la “è” diventa da sola “È”. Su altri sistemi tipo Mac basta premere due tasti in più e su Windows basta creare una scorciatoia da tastiera o magari usare LibreOffice 😃
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Io sono un purista, uso Notepad!! 😀
(però se e quando e forse e non lo so pubblicherò, stai sicuro che sarà la E accentata corretta! 😉 )
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