i dettagli… di un testo di narrativa

(CC) dy Andrea Ciambra. Immagine non modificata: Licenza
(CC) dy Andrea Ciambra. Immagine non modificata: Licenza

Quando si scrive si scrive. Si buttano parole una dietro l’altra, si usano termini ricorrenti, similitudini ricorrenti, tutti i personaggi incrociano le braccia sul petto, a tutti batte forte il cuore, tutti si mordono il labbro o le labbra… In un paragrafo ti capita di usare 5 volte lo stesso termine. È il tuo modo di fare, tanto l’importante è la storia, mica la forma? Non perdiamoci in inutili dettagli.

Scrivere è facile. Metti le parole parole una accanto all’altra e hai fatto. Tempo 20 giorni e hai scritto e pubblicato un romanzo, no? E magari la gente lo compra pure, in tanti lo prendono e diventi un best seller, ti pare? Al diavolo i dettagli, fanno solo perdere tempo.

Eppure se hai lavorato con un editor e hai iniziato a documentarti da solo su quali tranelli evitare durante la scrittura, capirai bene che i dettagli non stanno lì perché sono cose inutili. Usare 50 volte il verbo tremare invece di usare sinonimi, o di eliminarlo in 46 occasioni, non è affatto un banale dettaglio.

Il testo si compone di precise parole. E le precise parole usate creano la struttura narrativa e lo stile di un autore. Non preoccuparsi affatto del modo in cui si scrive rivela poco spessore. È come se la scrittura di un autore non avesse molta importanza: in tanti scrivono, in tanti pubblicano, in tanti lo fanno male. Nelle 50 sfumature pare che in ogni pagina la protagonista si mordesse il labbro.

Il problema grosso è NON farlo apposta. Si parla sempre di autori con una certa esperienza, che tendono a non cadere in queste buche. Eppure ci si cade senza manco rendersene conto. Quando inizi ad applicare un metodo che oserei quasi definire scientifico, è allora che iniziano i problemi. Ti accorgi che per quanto tu provi a fare attenzione, ti perdi lo stesso.

Se lo fai apposta a scrivere in modo trascurato, lo sai, ne sei cosciente, ma se tu pensi di stare evitando i tranelli in cui la parola ti accompagna mano nella mano, ecco, allora c’è da disperarsi.

Ho scritto un’applicazione per computer che gira su Linux, Windows e Mac. Cosa fa quest’applicazione? Prende un testo in formato TXT e lo elabora. Conta il numero di occorrenze di ogni parola contenuta nel testo. Cioè? Conta quante volte hai usato “ha”, “aveva”, “ho”, “io”, ecc… In pratica non gli devi dire tu le parole che hai usato nel testo. Fa tutto da solo, o quasi, anche perché la logica che c’è dietro l’applicazione ho dovuto mettercela io.

Quella con occorrenza maggiore in assoluto è la lettera “e”, capire che poi oltre alle “e” ci sono tante altre occorrenze di cui manco ci si aspettava è tremendo. Uno si chiede: “Possibile mai che uso sempre gli stessi termini”? La risposta è sì.

Ma il sì, va spiegato.

Il programma riporta anche quante parole diverse si usano in un testo. Il risultato è sempre lo stesso. Il numero di parole diverse che uno scrittore usa in media è il 10% circa dell’intero romanzo/novella/raccolta di racconti. L’esperimento l’ho fatto su molti testi. Sembra essere un dato costante per ogni tipo di narrazione.

Compriamo un romanzo in libreria, su Amazon, su una bancarella, dove capita. Il testo che abbiamo avanti è per noi la prima e unica versione dello stesso, perché non conosciamo le versioni precedenti e meno che mai quella iniziale. Per un autore serio un testo pubblicato è quanto di meglio è venuto fuori dopo aver cancellato, corretto, riscritto anche 10 volte. Ogni volta inizi dal principio e vai avanti eliminando cose che prima non vedevi, o comunque procedi per gradi. Prima fai attenzione alla trama, poi alle incoerenze, alle descrizioni, poi verifichi quanto hai caratterizzato i personaggi, se si somigliano, poi vai avanti a eliminare le similitudine logore (pallido come la luna, ecc…), le ripetizioni e mille altre cose che sono fuori posto.

Sarai in grado di eliminare tutte le ripetizioni di verbi e aggettivi vari? Se il numero delle parole diverse che l’applicazione che ho scritto rivela essere sempre il 10% dell’intero testo, mi verrebbe da dire che è impossibile, eppure nella cura dei dettagli c’è il cuore, lo stile di un autore.

Davanti a questo dato del 10% sono rimasto qualche minuto in silenzio, perplesso.

Si butta il sangue a leggere, rileggere, a fare leggere, a farti annotare le cose a fare almeno 7 revisioni grosse e ennemila piccole mentre sei all’opera e… poi? Ci si perde nei dettagli, ma, per l’appunto, i dettagli non sono banali dettagli. E se l’uso sconsiderato di parole al caso si nota, lo nota un occhio esterno, anche l’uso attento viene a modo suo notato e può risultare non dare quell’effetto desiderato.

La scrittura prova a ricreare un modo intero da zero in modo scientifico, animando emozioni e rendendo il tutto naturale, vero, permettendo di innamorarsi di passaggi particolari, di personaggi che ti entrano dentro, di ambientazioni, di tante piccole cose, tanti piccoli dettagli, per l’appunto.

I personaggi non possono essere tutti fisicamente uguali. Le ambientazioni devono… dovrebbero esserci ed essere uniche, caratterizzate, i dialoghi non possono essere semplice contorno e abbellimento (si ottiene proprio l’effetto contrario se si inizia a divagare senza criterio proprio sulle battute scambiate tra personaggi).

C’è una soluzione che permette di dare un valore aggiunto a un testo? Voglio dire, alla fine, non sono solo parole, non sono chiacchiere, ma compongono una complessa struttura che regge le fondamenta su alcuni elementi ben definiti.

Sì, c’è, la soluzione è nei dettagli, come sempre.

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