L’universo narrativo e il #selfpublishing

(C) quicksandala at Morguefile
(C) quicksandala at Morguefile

Ho spesso letto libri di genere diverso e di un diverso numero di pagine. Ho letto tomi da 1300 pagine e novelle da 120 pagine. Stephen King in certi casi ha bisogno di quelle 1000-1200 pagine per creare un intero mondo, un universo narrativo complesso composto da un gran numero di personaggi e da intere cittadine inventate con tanto di nomi di strade e di negozi, di storia della cittadina stessa, tradizioni e misteri insoluti.

Uno dei miei libri preferiti di King è Dolores Claiborne. L’ho letto diverso tempo fa, era il 1993, e ricordo che aveva uno stile bello originale, scritto in prima persona. Si parla di una eclissi di sole e l’ambientazione è addirittura un’isola. King ci porta dentro una comunità, una piccolissima cittadina posta su questa isola dove si conoscono tutti, e crea un universo narrativo bello preciso. Non usa nemmeno troppe pagine. Circa 267 pagine.

In Cose preziose (copertina stupenda, me lo sono regalato per la mia promozione nel 1992) invece impiega quasi 768 pagine con carattere piccolo piccolo e basa la storia, davvero originale, a Castle Rock, una cittadina del Maine che ha inventato di sana pianta e che ha spesso usato in altri lavori, per esempio nella novella Il corpo, contenuta nella raccolta di quattro novelle Stagioni diverse, che vi consiglio caldamente. Castel Rock compare anche nei romanzi Cujo (bellissimo, ricordo di aver pianto nel finale!), Le creature del buio, La metà oscura (da leggere assolutamente!). Che sono tutti universi narrativi complessi e ben riusciti.

Altri universi narrativi Kinghiani da menzionare sono stati creati in It e in L’ombra dello scorpione, che sono dei tomi belli complessi di 1200-1300 pagine. Una miriade di personaggi tutti ben caratterizzati e, ovviamente, da leggere.

King una volta se la cavava egregiamente a mettere in piedi universi così complessi, forse oggi un po’ meno, ma resta sempre un signor scrittore che va letto!

I miei universi narrativi

Anche io ho creato universi narrativi. Ricordate Joe è tra noi? Siamo in una Londra futuristica del 2358 dove mi sono sbizzarrito a inventare l’impossibile e renderlo credibile. Anche troppo.

Lo fanno un po’ tutti gli scrittori di romanzi, ma in questo ultimo sto davvero sudando freddo. È composto di storie e microstorie che aggiungono pezzi del puzzle che vado a creare sul protagonista. Adoro creare bei personaggi complessi. Non mi accontento mai, devo scrutare l’animo dell’uomo attraverso le mie storie e oso sempre di più. Se all’inizio avevo paura a espormi spingendomi verso certi temi, ora vado a piede libero e cado anche io dentro queste storie sempre più elaborate.

Il prossimo romanzo si ambienta a Napoli e, per la prima volta, la vedremo molto da vicino, ci innamoreremo del lungomare, del Castel dell’Ovo e di Francesco che non riesce a stare fermo cinque minuti senza combinare casini su casini, e in cui rischia anche la propria vita. È un personaggio forte, uno che affronta il suo universo a testa alta, scontrandosi con chi gli fa del male. Litigando con gli amici a cui tiene, aiutandoli in tutti i modi possibili.

E solo dentro un universo dove il personaggio si muove, vive, respira e pensa si riesce a stare a proprio agio così tanto che vorresti che la storia non finisse più.

Uno dei miei beta lettori è rimasto impressionato positivamente dalla mia ultima fatica, abbiamo provato assieme a limare meglio il tutto, abbiamo parlato di alcune scene, l’ho intervistato e ha capito l’opera nella sua interezza. Sono contento perché vuol dire che con questo lettore il mio lavoro di scrittura ha fatto centro.

Abbiamo parlato anche del finale, scena che è quasi traumatica, stupenda, poetica, colorata, il miglior ritratto possibile di Napoli, ma pur sempre traumatica.

Certo, lo so, me la canto e me la suono. Non è così. So che dovrò avere una buona dose di sangue freddo nel momento in cui finalmente lo avrò pubblicato. Dovrò fare di tutto per promuoverlo perché credo sia una delle storie più forti, crude e belle che abbia mai raccontato, nel senso che vedo la mia evoluzione. Naturalmente, questo particolare dovrebbe giudicarlo chi mi legge, non certo io.

Qualcuno già lo sta facendo. Chiamiamoli fortunati, però sto lavorando nel pieno senso della parola per far sì che anche altri possano leggere questa storia nelle migliori condizioni possibili e sembra che il lavoro di revisione abbia vita infinita.

Questa storia mi resta sulla pelle, il personaggio non mi abbandona nemmeno più. Potrebbe essere un buon segno, perché magari, come dicevo a qualcuno, Francesco tornerà ancora con la propria storia. Di certo lo vedremo anche nel terzo volume de “Le parole confondono”, sempre se riesco a finirlo e se viene bello come vorrei, ma sarà solo un personaggio secondario. Finché ci si lavora sopra penso sia anche fuorviante parlarne, anzi, direi controproducente.

L’universo narrativo

L’universo narrativo è l’insieme dei personaggi, della loro caratterizzazione, dell’ambiente in cui si muovono e del modo in cui parlano o gesticolano e, come scrittore, è una gran figata creare qualcosa che è quadrimensionale anche se si compone solo di una lunga sequenza di parole. E di questo universo fanno parte queste parole, che non possono essere le prime che vengono in mente, bisogna stare sempre a controllarle, evitare la ripetizione delle stesse, anche se sparse in 600-700 pagine, bisogna sempre fare un passaggio di lettura ad alta voce, provare a vedere le scene prendere vita, renderle quanto più vere possibili. A volte non è nemmeno necessario espandere l’universo così tanto, ma sempre una struttura complessa resta. Non me ne ero mai reso conto davvero, ma è proprio così quando si scrive. È come tirare su tanti palazzi e bisogna farlo per bene altrimenti crolla tutto e si fanno danni.

E poi ci sono quegli universi che sono così ben caratterizzati che nemmeno ricordi quando ci sei entrato dentro, sai solo che quando ne esci fuori ti dispiace davvero. Resti fermo anche tu accanto al personaggio in quell’ultima scena, vi guardate in faccia senza parlare, solo a rimirarvi, sapendo che è stata una gran bella storia, almeno si spera sempre così. Per dare un senso a tante cose.

A tante cose.

Soprattutto quando la trama, nella sua accezione più generale, non subisce le pressioni editoriali di chi deve vendere e vendere a vagonate e puoi essere te stesso e scrivere quella storia che fa bene.

E questo il selfpublishing te lo permette da subito, con tutte le ovvie conseguenze del caso.

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